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Portnoy-oy-oy-oy-oy!
Dalle pagine di questo libro emerge assoluta sincerità e una sensazione palpabile di vita interiore tormentosamente vissuta, mentre sul lettino di un analista l'io narrante, Alexander Portnoy, srotola un monologo di pensieri, ricordi e impressioni conflittuali.
Ben poco sembra inventato e i personaggi spiccano subito con estremo realismo nei loro tratti peculiari.
La madre, innanzitutto, dispensatrice di cibo kosher e sensi di colpa con il suo affetto opprimente, la sua bontà posticcia e inacidita, i discutibili metodi educativi.
Era lei, per esempio, che vagamente minacciosa impugnava un coltello quando il figlio si rifiutava di mangiare, ma sempre a lei è legato il ricordo struggente e poetico di un cielo autunnale:
“Vedi? Vedi come è viola? E' proprio un cielo d'autunno”.
E poi il padre, zelante e frustrato agente di assicurazioni perennemente alle prese con problemi di stitichezza:
“Oh, questo padre mio! Questo gentile, ansioso, stitico padre mio che non riusciva mai a capire niente!”.
Ma era con lui che ogni anno, a novembre, andava a comprare vero sidro di mele per il Giorno del Ringraziamento, rituale necessario che li legava per tacita intesa.
“Perché ho disertato la mia famiglia?”.
Alex non sembra guadagnarci molto dal fatto di avere un'intelligenza al di sopra della media, e porta come una zavorra le sue origini ebraiche.
A quanto pare il perenne senso di inadeguatezza che lo tormenta proviene tutto da lì, e sbattere in faccia agli amati-odiati genitori il suo ateismo condito di idee socialiste è il primo gesto di ribellione adolescenziale - se si escludono le sue assidue pratiche onanistiche:
“Sono il Raskolnikov delle pippe”, afferma, visto che come il personaggio dostoevskiano i suoi “delitti” li consuma pericolosamente, a rischio di essere beccato.
Disabile sentimentale sempre a caccia di avventure sessuali, da adulto vagheggia un ideale di focolare domestico con moglie e figli, ma nel suo animo intollerante e invidioso, oppresso dalla vergogna e dalla colpa, l'amore non può attecchire.
I conti decisamente non tornano nella sua esistenza di avvocato trentatreenne irrisolto e deluso: “Non è mai abbastanza per me. Mai! Bisogna che io abbia. Ma avere che cosa?”.
Tenendo fede al titolo, il romanzo indugia un po' troppo sul piagnisteo in progressione tra rabbia, rimpianti e rimorsi, e soprattutto nella seconda parte diventa un tantino prolisso e ripetitivo.
Ma lo stile resta pur sempre diretto ed efficace, carico di sarcasmo.
Preda di ossessioni castranti e del ricordo di ferite grandi e piccole mai rimarginate, Portnoy è in definitiva un bambino cristallizzato che non riesce a diventare un uomo:
“Con una vita come la mia, Dottore, mi vuole dire a cosa servono i sogni?”.
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Commenti
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@Emilio: i romanzi imperdibili sono altri, ma questo è comunque interessante.
@Gracy: trattasi di analisi comparata con la letteratura russa :-))
Grazie a tutti!
Ma ... darò a Roth altre possibilità :-)
Ciao!
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