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Giovinezza e malinconia
M. Yourcenar, molto interessata alla cultura nipponica, individua (in "Il tempo grande scultore") "una caratteristica specificatamente giapponese: la contemplazione poetica della natura nel momento della morte". E riporta i versi scritti nel 1945 da un pilota kamikaze di 22 anni: "Se soltanto potessimo cadere / Come i fiori di ciliegio, / Così puri, così luminosi...".
Questa citazione può servire ad introdurci nel mondo di "Neve di primavera", bellissimo e malinconico romanzo di Mishima, scritto nella piena maturità, che mi pare riprenda certe atmosfere interiori del giovanile "Confessioni di una maschera". In entrambi i romanzi, i protagonisti sono ragazzi che, pur in modo diverso, emanano qualcosa di inespresso e contraddittorio, con un atteggiamento di ambiguità verso la donna: rifiutata, quando c'era l'eventualità di un legame; ricercata quando (o proprio perché) diventata irraggiungibile. Ma, se nel romanzo della giovinezza i toni erano cupi e le emozioni pressanti, in "Neve di primavera" tutto pare come lasciato decantare e riflesso in cristallo purissimo.
Qui agiscono nelle loro alterne vicende (siamo nel 1910/12, in ambiente aristocratico) due diciottenni/ventenni (Kiyoaki e Honda) e una ragazza (Satoko). La realtà vissuta si carica progressivamente di tensione, ma sempre in una dimensione di contenuta malinconia, come se anche le emozioni più forti e le situazioni più drammatiche fossero filtrate attraverso un'atmosfera di composto equilibrio interiore. La relazione con la natura è costantemente presente a riflettere, come in acqua trasparente, gli stati d'animo, a farci scorgere uno spiraglio interiore che altrimenti resterebbe celato: sotto la pergola di glicini, sul volto delle donne "si stsgliava, al pari di un elegante riflesso di morte, l'ombra color lilla dei fiori"; "quando poi la madre (...) aprì il ventaglio d'oro, questo, sotto i riflessi rossi delle foglie d'acero, si ammantò di scarlatto"; "...sentì un debole rumore, simile a quello prodotto dal bocciolo di un susino nel momento in cui si schiude".
Particolari come questi contribuiscono a dare alla narrazione un tono lieve e leggiadro che ben si addice alla ventata di giovinezza che in ogni pagina si avverte. Il lettore, al termine del romanzo, in cui non mancano dolore e morte, si sente avvolto in un'uniforme seppur variegata atmosfera di 'dolce malinconia', che caratterizza l'opera intera.
Molte le belle immagini che qui Mishima dispensa a piene mani. Una per tutte, che si espande per un intero capitolo: la corsa senza meta in risciò, in cui Satoco e Kiyoaki si scambiano i loro primi baci (per lui, i primi in assoluto), avvolti in una bufera di neve, i cui fiocchi turbinano nell'aria e si posano sui loro corpi, quando essi,in un'esaltazione anche estetica, aprono il 'tetto' che li riparava.
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Hai proprio ragione l'immagine del risciò é un quadro meraviglioso (adoro Yukio!)
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ho iniziato a leggere Mishima con questo testo e l'ho trovato davvero intenso e poetico.
Hai letto tutta la tetralogia?