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Anatomia del disporre della vita altrui
“Egregio signore, la povertà non è un vizio, è una realtà. (…) Ma la miseria, egregio signore, la miseria è vizio”.
In queste parole – pronunciate in un'infima bettola da un derelitto ubriacone allo studente Raskòl'nikov – c'è l'essenza di questo capolavoro della letteratura russa.
Dostoevskij presenta sin dall'inizio il suo protagonista (Raskòl'nikov, per l'appunto) come un uomo che, per quanto ancora si maceri ed esiti, si nutre già di un proposito delittuoso. Nei fatti non è ancora transitato dalla POVERTA' di un'arrangiata condizione di vita alla MISERIA morale causata dal compimento di un atto violento. Ma mentalmente il passaggio c'è già stato.
E allora Raskòl'nikov ricostruirà con il lettore il modo in cui è giunto all'idea di assassinare la vecchia usuraia alla quale porta in pegno oggetti di un qualche pregio, per avere in cambio una manciata di copechi (cioè una boccata di ossigeno). Ma poi tale proposito metterà in atto, con l'inganno e un poderoso colpo d'accetta: e il delitto sarà compiuto, e incancellabile.
Sebbene riesca ad allontanarsi dal luogo dell'omicidio senza essere visto, Raskol'nikov, dentro di sé, sa già che la parabola discendente è iniziata, e che l'ineluttabilità dell'azione (il delitto) lascerà il posto all'ineluttabilità della reazione (il castigo). Il folgorante paradosso che regge tutto il libro e ne fa un riferimento costante (se non un'opera unica) è proprio in questa lunga parte del romanzo: al passaggio del protagonista attraverso tutti i gradi della MISERIA (che ha innescato con le proprie mani), si accompagna il progressivo svelarsi delle motivazioni che hanno dettato lo scellerato atto, e che Raskòl'nikov riconduce ad una sua idea di “grandiosità” (ma su questo è bene non svelare troppo, e lasciar tutto al piacere della lettura).
Poste queste premesse – e tenuto conto che quasi tutto è stato detto di quest'opera – pare cogliere nel segno chi, in una precedente recensione, ha messo l'accento sul carattere pratico e “sperimentale” dell'analisi di Dostoevskij: è come essere al cospetto di un “empirista” che, anziché servirsi della pura filosofia o della scienza, sceglie di dissertare della natura umana attraverso la più alta letteratura.
Lo scrittore russo costruisce un vero e proprio “affresco”, facendo ricorso ad una modernità non solo di stile ma anche nella ricostruzione dei personaggi. Che aspirano al rango di caratteri universali: come la madre e l'amata sorella Dunja; il fedele e volenteroso amico Razumichin; Petrovic, l'antipatico e gretto arricchito che aspira alla mano di Dunja e su ciò viene fermamente contrastato dal protagonista; Porfirij, l'incalzante poliziotto “di quartiere” deciso ad afferrare il bandolo della matassa delittuosa; la fragile e caritatevole Sonja, inventatasi prostituta per dare sostentamento alla madre ed ai fratelli più piccoli; e numerosi altri.
Nemmeno l'entrata in scena dei personaggi minori si riduce a semplice “comparsata”: quando meno ce lo si aspetta, essi si ripresentano nella vicenda, testimoniando della complessità dell'intreccio creato dallo scrittore russo.
Sullo sfondo – ma neanche tanto – la povertà degli abitanti di una Pietroburgo fredda e avara di occasioni e speranze. E' a questa POVERTA' che Raskol'nikov prova a ribellarsi, ritrovandosi però avvolto in quella MISERIA che (a differenza della medesima povertà) non è una condizione di vita bensì un abisso dell'animo.
Così, scivolando verso l'inevitabile finale, si svela l'intimo collegamento tra miseria e giustizia, che in qualche modo diventa, per l'uomo, destino.
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Commenti
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A rileggermi a distanza di ore, in realtà, mi sono sembrato un po' pomposo... :)
E ho dovuto correggere anche un paio di sviste sintattiche...
Va bé, l'importante è che almeno un minimo sia riuscito ad attirare l'attenzione su questo libro a suo modo immortale... non che ne avesse bisogno, ma ogni tanto è bene ricordare che questi libri ci sono...
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