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Il legame tra una madre e la figlia oltre la morte
Ogni 7 gennaio Isabel Allende si rifugia in una casetta, che lei considera la sua tana, accende una candela propiziatoria ed inizia a scrivere. E quel 7 gennaio del 2006 sa che deve cimentarsi nell’avventura più complessa ed intima che uno scrittore possa compiere: parlare della propria vita e di quella delle persone a lei care non come semplice autobiografia, ma come una virtuale, lunga e dolorosa lettera a qualcuno che da ben tredici anni l’ha lasciata, la propria figlia.
Scrivere a Paula non è una novità per questa fantastica autrice cilena, perché, sull’onda dell’emozione della malattia e della sua morte, le aveva già dedicato un bellissimo ed accorato libro, ma rifarlo dopo anni di silenzio e squarciare il velo di un dolore sopito, ma tenuto sempre in un angolo del suo cuore, è un’esperienza coraggiosa e ad un tempo terapeutica.
E proprio questo ho colto dalla lettura del libro: il coraggio di una mamma, che con sforzo si è rialzata dalla sofferenza della perdita della figlia e che cerca dopo tredici anni un contatto diretto con lei scrivendole apertamente dell’evoluzione della sua esistenza e di quella del proprio compagno, del figlio, nonché fratello di Paula e di amici a loro cari, e dall’altro lato uno scopo terapeutico. La Allende, cioè, inanellando gli episodi verficatisi negli ultimi tredici anni, senza una precisa scansione temporale, ma ponendo come parametro di valutazione le emozioni da essi suscitati, sembra voler buttare fuori tutto: il dolore della morte di Paula, il suo allontanamento temporaneo dalle gioie della vita e finanche dall’amato compagno ed il loro avvicinarsi culminato in un matrimonio un po’ bizzarro, la difficile vita sentimentale del figlio Nicholas e la nascita dei nipoti. E soprattutto dall’altro lato della poltrona non vi è un analista che ascolta imperturbabile le vicende di una donna che ha superato i sessant’anni e cerca di fare un bilancio della propria esistenza, ma immagina di trovare una figlia, che lei sente non essersi mai veramente allontanata.
Questo si traduce in un’avventura emozionante e carica di pathos.
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