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ermeneutica e dialettica nella metafora coltello
La recensione che scriverei è su "Che tu sia per me il coltello" di David Grossman; edizione della collana Oscar Mondadori, Milano 1999 tradotto da Alessandra Shomroni.
In realtà quanto riportato dalle numerose recensioni sul testo mi sembra già talmente ampio ed in larga parte da me condiviso da rendere superflua una ulteriore critica se non una critica (giusto per sottolineare un aspetto a mio parere fondamentale) alle critiche.
In molti commenti colgo una generale tendenza a definire irreale il non-luogo in cui si collocano le vicende di Yaìr e Myriam. Invero nulla vi è di più reale, concreto e del rapporto tra i due. La realtà a cui mi riferisco è la realtà della verità possibile-fondata-conoscibile solo-nel-attraverso il Linguaggio. Nell'opera di Grossman aleggia senza essere descritta (la descrizione è heideggerianamentte un porre-fuori-da-sé) l'ermeneutica più pura, il concetto che "il linguaggio fonda il mondo". Non è un caso che i due corrispondenti possano 'percepire' l'uno i sospiri, gli sguardi e i pensieri dell'altro. Quello che accade è generato dal linguaggio stesso che lo esprime esattamente come il linguaggio esprime la concretezza materiale di due vite che sono reali perché fondate per e nel lógos che intende il fenomeno come "svelamento". E ancora, ciò che di irrazionale si incotra è tale perchè è razionale solo ciò che nell'assoluto riconosce la contrapposizione e dialetticamente la supera. "Nascondi a Maya il mondo della tua immaginazione e a me quello della tua realtà. Come fai a destreggiarti fra tutte quelle porte che si aprono e si chiudono? E qual è il luogo in cui vive veramente, una vita completa?”. Ecco, in questo breve periodo prodotto dal nervosismo di Myriam per il costante rifiuto di Yaìr di rivelarsi, l'esplicitazione di una realtà troppo significante dal significato ancora in fìeri a causa di una completezza assente raggiungibile solo mediante l'aspetto fisico della vita. Completezza che compresa rende Razionale (ragione a questo punto in termini praticamente hegeliani) l'intellettuale e l'estetica (intesa come conoscenza del dato empirico).
Dunque da un lato in entrambi i personaggi la frequentazione epistolare completa il loro 'bilancio esistenziale' nei suddetti termini, dall'altro sempre per i motivi sopra indicati esso non è sufficiente a se stesso.
Ed ecco il coltello. Questo tagliare, scalfire il rivestimento della quotidianità e l'infrazione del senso del pudore a cui siamo assuefatti e che ci permette di mitizzare noi stessi per svelare quanto difficile sia invece il rapporto umano (sia con gli altri che con-in noi stessi).
Il risultato non può che essere un'opera a dir poco travolgente in cui lo scontro tra possibilità e necessità, biasimo ed elogio, contingenza e idealità rende impossibile una lettura diataccata e serenamente superficiale
Tuttavia è un testo intriso anche di psicologismo. Per quanto riguarda il travaglio conscio ed inconscio di Yair e di Myriam dovuto rispettivamente ad un padre e ad una madre decisamente non all'altezza di un figlio e alla loro differenza dai relativi contesti di vita cedo volentieri la parola a chi è in grado di parlarne con il lessico appropriato. Io mi limito a percepire quest'altra forza pontentissima che sprigiona ogni frase dei due e a pensarci su.
Commenti
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Il momento dell'elaborazione di quadro generale è necessariamente successivo alla lettura di ogni singola pagina e lettera. Io sono il primo a voler godere dell' dell'arte. D'altronde sono un batterista jazz, iscritto al conservatorio e suono dalla tenera età di 5 anni. Ci sono cresciuto con questo approccio all'arte, ciò non vuol dire che non si debba continuare a fruire della bellezza di un'opera considerandola sotto molteplici aspetti a percepire anche la bellezza della problematicità insita nel capolavoro.
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