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La "buona letteratura" di Mo Yan
Guan Moye è un ragazzo loquace, che ama ascoltare i cantastorie dei mercati locali e che, a sua volta, sa raccontare, arricchendole, le storie narrate da altri.
Un giorno la madre, avvinta dall'ancestrale preoccupazione che tutte le madri nutrono per i figli avvezzi più alle parole che alle cose pratiche, gli chiede: "Come sarai quando sarai grande, figlio? Non è che finirai a chiacchierare per vivere?"
Non a caso, anni più tardi quel ragazzino, ormai divenuto grande, firmerà i suoi libri con lo pseudonimo letterario di Mo Yan, "colui che non desidera parlare". Se il destino di un uomo, quindi, è quello di raccontare delle storie, le sue storie comunque e in qualunque tempo le racconterà. E le racconterà anche in tempo di censura, sfruttandola addirittura affinché abbia - come ebbe occasione di dire, per molti discutibilmente, lo stesso Mo Yan - un "effetto benefico sulla creatività letteraria".
La letteratura cammina su delle gambe giganti, ecco tutto.
In "Sorgo rosso", Mo Yan "il cantastorie" ci incanta con la sua Cina meravigliosa e disperata, stremata dal secondo conflitto cino-giapponese. Ci seduce e ci stupisce con i suoi grandi eroi uomini e donne, i suoi banditi dal sangue caldo, i suoi patrioti, i suoi "bastardi", i suoi diavoli e le sue canaglie; tutti turbolenti, capaci di odio e amore, incredibilmente belli o desolatamente sgraziati, imponenti, bassi, dai denti candidi o gialli, dai visi butterati o lisci come cera; tutti egualmente ansimanti per la gloria; tutti ostinati combattenti "per vendetta, per vendicarsi della vendetta" e per una miriade di altre storie.
Attraverso la sua prosa, a volte dura, spezzata e stridente come sanno essere "i fusti di sorgo toccati dalle punte dei picconi", Mo Yan, senza perdere una sola stilla di realismo, anima e umanizza cani, donnole, volpi, muli, gatti e vegetazione.
Il sorgo, "vasto e uniforme, saggio e dall'aspetto ottuso", è verde, rosso, giallo, splendente, fitto e impietoso, fornisce ricetto ai vivi e ai morti, guarda con occhi che fissano beffardi.
I cani sono sfacciati, impazienti di combattere, ansiosi, cercano anche loro una rivincita sugli uomini, riordinano razionalmente i loro impulsi, "guardano di sottecchi il proprio capo", si guardano "l'un l'altro in tralice con un sorriso furbo sul lungo muso".
Non mancano poi, come nella migliore tradizione orientale, la prossimità fisica e spirituale tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti, possessioni, demoni, superstizioni, monaci e guaritori.
Nell'architettura della storia, nel realismo potente, magico, e nel linguaggio evocativo di Mo Yan sembra di ascoltare, seppur da lontano, le voci di William Faulkner e Gabriel Garcìa Màrquez, due grandissimi della letteratura amati dallo scrittore cinese per il "modo coraggioso e sfrenato in cui creavano nuovi territori nella scrittura" (come lo stesso Mo Yan affermò nella sua lectio magistralis all'Accademia di Svezia).
In ogni caso, nel raccontare le sue storie Mo Yan ha camminato da solo, narrando le vicende del suo popolo coi tempi e coi modi di un sublime cantastorie di mercato.
Sorgo Rosso è un libro imponente, maestoso, un libro di quelli che poche volte nella vita vi capiterà di leggere e al quale farete immancabilmente rimando, usandolo come misura di giudizio, in tutte le storie chiaramente o solo vagamente epiche che incontrerete nel cammino affascinante che ogni lettore percorre felicemente e ostinatamente giorno dopo giorno.
Perfetta simbiosi tra ciò che è tangibile e ciò che solo si può immaginare, "Sorgo rosso" è un caso paradigmatico di "buona letteratura", quella letteratura che, spiega lo stesso Mo Yan, "dovrebbe permettere al lettore di ritrovare se stesso nelle pagine che scorre, dovrebbe suscitare emozioni condivise. La buona letteratura consente allo scrittore di raccontare il proprio mondo emozionale e di esperienze. Allo stesso tempo, rappresentando le storie e l’universo interiore delle persone comuni, è in grado di fondere universalità e particolarità. Può darsi che lo scrittore non se ne renda conto quando prende la penna in mano, ma è qualcosa che accade comunque. Da sé".
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Commenti
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Mo Yan ha scritto uno di quei libri eterni che una volta letti non li si dimentica più...non si può non amarlo...
Un saluto :-) e grazie ancora..
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Condivido la tua ottima analisi, Daniela