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Tra i gabinetti e l'infinito
Raccontare un'esperienza lavorativa da incubo con autoironia e un filo di follia è sicuramente pane per i denti dell'irrefrenabile Amélie Nothomb, che in questo breve romanzo autobiografico ci regala pagine esilaranti il cui stile e contenuto, come sempre, rifuggono dai luoghi comuni senza cedere neanche per un attimo al vittimismo.
Le riflessioni le lascia al lettore mentre rivela la sua brillante scalata all'insuccesso in una multinazionale giapponese, in qualità di ultima ruota del carro di un rigido e disumano sistema gerarchico.
Ce ne sarebbe abbastanza per spezzare il cuore e la tempra di chiunque (lei il Giappone lo amava e in quell'impiego aveva riposto molte aspettative), eppure la scrittrice ha quel modo tutto suo di reagire alle umiliazioni, divertente e un tantino masochistico:
“Com'era bello vivere senza orgoglio e senza intelligenza. Mi ibernavo”.
Anche nelle mansioni più umili è irreprensibile e volenterosa, esaltata tra l'altro dall'attrazione per Fubuki, sua diretta superiore, donna bellissima e sadica che diventa la sua principale persecutrice e stronca prontamente sul nascere l'unica opportunità di carriera che le viene concessa.
Fubuki è il prodotto tipico dell'educazione impartita alle donne giapponesi, a cui fin dall'infanzia vengono tarpate le ali del sogno con una serie infinita di regole da rispettare.
Questo ci spiega la Nothomb, e c'è sempre un baluginare malizioso e sferzante, anche nelle frasi più remissive, che non concede l'onore della vittoria a chi le sta di fronte, perché Amélie è un essere vivo e pensante dotato di un arguto spirito di osservazione.
I suoi sforzi stakanovisti sono destinati fin dall'inizio al fallimento: lei, occidentale e per giunta donna, deve stare al suo posto, messa a far nulla, o ad occuparsi di cose che esulano dalle sue competenze (conosce l'inglese e parla perfettamente francese e giapponese).
E poi arrivano i bagni, accolti con un certo sollievo: “Quando si lustrano i bagni sporchi, il vantaggio è che non c'è da temere di cadere più in basso”.
Ci sarebbe il licenziamento, ma mollare prima della scadenza del contratto annuale sarebbe disonorevole agli occhi di un nipponico e lei tiene duro.
Un'alternativa dignitosa potrebbe essere il suicidio, visto che nel paese del Sol levante nessuno ha da ridire su quest'atto estremo.
E in effetti Amélie tutte le volte che può si lascia mentalmente cadere dall'enorme vetrata del piano in cui lavora, il quarantaquattresimo (lo chiama “lanciarsi nel paesaggio”).
La finestra diventa “la frontiera tra lo sciacquone e il cielo, tra i gabinetti e l'infinito”, e immaginare di lanciarsi nel vuoto osservando se stessa e la città è un atto di contemplazione che rimpiangerà una volta portato a termine il suo anno lavorativo:
“Finché esisteranno finestre l'essere umano più umile della terra avrà la sua parte di libertà”.
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Commenti
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:-)
Che voglia di Nothomb, e' da tanto che non la leggo. Devo rimediare.
MERCURIO E' BELLISSIMO ! Tra i miei preferiti con Diario di Rondine e Nè di Eva nè di Adamo.
Mi raccomando con Mercurio, prendete il Voland che e' un romanzo, non fate come Robbie che non mi ha dato retta e si e' trovato con la versione scenografia ( ed. Royal non mi ricordo piu' cosa).
“la frontiera tra lo sciacquone e il cielo, tra i gabinetti e l'infinito”...geniale!
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