Dettagli Recensione
Deux
Quando ho deciso di leggere “Due” sono partita già con cuore greve, sarà per la fine tragica della Nemirovsky (di origine ebraiche, è morta ad Auschwitz) o perché avevo prima letto “Il ballo”, che tutto sommato, mi aveva lasciato con l’amaro in bocca.
Malinconia l’ho provata anche leggendo la storia della vita di Antoine Carmontel e Marianne Segrè, i due protagonisti: all’inizio è facile amarsi, animati dalla passione della gioventù, eppure Marianne già sente Antoine scivolarle tra le dita, quando lui si vede con la più anziana Nicole, la sua amante da tempo, e la ragazza si obbliga a sottostare ai capricci e all’umore variabile di lui.
Tormentata da gelosia e affanni, alla fine abbandona il suo amore da ragazza, eppure Marianne e Antoine, ritrovatisi, finiranno per sposarsi e passare la vita insieme: superano due morti devastanti, quella di Solange, amica di gioventù, che appare veloce e luminosa come una folgore e si spegne infelice da moglie di Gilbert, uno dei due fratelli di Antoine; e quelle di Evelyne, sorella di Marianne, con cui Carmontel ha un’avventura da sposato e che lo lascia stordito per la passione risvegliata.
Quello che più mi ha affascinata del romanzo è l’atmosfera ovattata, sospesa, che sembra pervadere la maggior parte della vita dei due: perfino all’inizio, quando i “roaring twenties” si fanno sentire nelle loro feste e svaghi, la Nemirovsky sembra già farci sentire il peso degli affanni futuri.
In certi punti l’atmosfera è quasi mortuaria e la vita di coppia di Antoine e Marianne si trascina agonizznte: più tremenda dei lutti è l’indifferenza che li separa dopo pochi mesi dall’inizio della loro vita coniugale, sono spenti e pentiti di essere stati così affrettati e così giovani nella loro scelta.
Marianne dice: “Non sono più soddisfatta della mia vita. Ma lo sono mai stata? […] Quello che puoi offrirmi, amicizia o amore, o il piacere di un istante, io lo accetterei, lo prenderei, con tutti i suoi rischi di infelicità futura, per ridare alla mia vita quel sapore aspro e forte che non ha più”.
La scrittura è quasi cullante, ricca di frasi su cui un lettore torna volentieri, che sono più rivelatrici dei dialoghi tra i personaggi che sembrano non volersi mai dire tutta la verità e che non risolvono nessun problema o dolore.
Alla fine, tuttavia, l’ultima immagine è quella di una famiglia normale, con il chiasso dei bambini e una coppia che va a cena fuori: “erano calmi, un po’ ironici e senza gioia, ma, un istante dopo, fu come se per loro ogni difficoltà fosse sparita”.