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L'infanzia di Gesù di J.M.Coetzee
L’infanzia di Gesù, l’ultimo romanzo di J.M.Coetzee (premio Nobel 2003), è un testo enigmatico e ambiguo che offre diversi piani di lettura.
La vicenda, nella sua apparente semplicità, contiene quesiti filosofici e esistenziali ai quali è difficile dare risposte.
Simon e David, un uomo e un bambino, giungono a Novilla, un luogo non ben identificato, di cui si sa solo che i suoi abitanti, tutti profughi provenienti da una vita di cui non conservano memoria, parlano la lingua spagnola, unico elemento che li unisce e li lega. Simon assume su di sé la responsabilità del bambino che promette di proteggere fino al momento in cui non potrà riaffidarlo alla madre, che, ne è sicuro, egli riconoscerà, pur non avendola mai vista. Per mantenere il bambino, Simon si adatta a lavorare come scaricatore di granaglie al porto, cerca un alloggio, si procura pane e acqua che sembrano essere il cibo fondamentale del luogo. La vita non sembra particolarmente eccitante a Novilla, dove ogni passione e ogni pulsione sembra essere repressa e ignorata. Sarà l’incontro con Inès a convincere Simon di aver finalmente trovato la madre di David: a lei consegnerà il bambino, che inizia così una nuova vita, sviluppando da un lato alcune doti di intelligenza e dall’altro un’arroganza a tratti insopportabile. Il carattere difficile di David lo porta a essere discriminato nell’ambiente scolastico, fino a essere destinato a una scuola di correzione alla quale però Inès e Simon si rifiutano di mandarlo.
Dunque se Novilla può apparire come un luogo ideale, una sorta di isola di Utopia, d’altra parte per certi limiti, quali l’esaltazione della mediocrità, la repressione di ogni istinto e passione, la riduzione di ogni individuo all’anonimato trasformano l’utopia in distopia e sottintendono una malcelata critica a un tipo di società in cui non è presente neanche una fede o un credo religioso.
Se questo è certamente un piano di lettura, un altro non meno interessante può essere quello che riguarda il nucleo familiare che si è creato a Novilla, dove Inès il cui nome significa castità, purezza, è la madre designata, David, che con arroganza e senza amore per il prossimo dichiara :“Io sono la verità”, è il figlio e Simon, colui che si assume ogni responsabilità, è il padre putativo. In questa prospettiva alcuni dei più profondi conoscitori dell’opera complessiva di Coetzee hanno sostenuto che l’autore abbia voluto rappresentare la delusione messianica tra coloro i quali non hanno altro a cui aggrapparsi: “it’s also possible that Coetzee is gently parodying messianic delusions among people who have nothing else to sustain them.” (Joyce Carol Oates – The New York Times – Sunday Book Review – August 29, 2013).
Non meno interessante potrebbe essere vedere nell’intero racconto la parabola dei flussi migratori dei giorni d’oggi, con l’inevitabile rischio di perdita di identità fisica e culturale dell’individuo.
Con quest’opera, Coetzee lascia il lettore nel dubbio e nell’incertezza: ciò che è evidente è che “L’infanzia di Gesù” è un romanzo allegorico, la cui complessità, tuttavia, l’allontana dalla chiarezza di un Moby Dick di Melville o da un Animal Farm di Orwell. Qui tutto rimane sospeso, tutto risulta essere assurdo: non a caso i critici sottolineano quanto tutta la produzione letteraria di Coetzee abbia risentito dell’influenza di Kafka e del teatro di Beckett.
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sembra essere un autore interessante ed impegnativo