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Tra "cianfrusaglie" e amore.
Leggo che questo romanzo, pubblicato nel 2000, è diventato un mito per i fanatici del collezionismo, anche se, come l’autore le ha sempre definite, quelle di cui egli tratta sono in realtà semplici “cianfrusaglie”.
Non sono uno “junker”, anzi, meglio, sono l’antitesi dello junker. Provo una sorta di ritrosia nei confronti di tutto ciò che è vecchio e di vera e propria repulsione nei riguardi di quella miriade di oggetti inutili e plurimanipolati che si vedono in giro nelle bancarelle o in qualche raro shop (quello che si legge nel romanzo mi pare fenomeno abbastanza americano, piuttosto raro in Europa, quasi inesistente in Italia dove, ormai, la categoria dei rigattieri si è praticamente estinta e i mercatini da garage o le svendite negli appartamenti non sono mai esistiti). Non parliamo, poi, dei capi di abbigliamento, che solo l’idea di indossarne uno mi fa venire i brividi.
Detto tutto ciò, mi sono innamorato di questo romanzo. Ogni tanto mi capita. E’ quel modo di scrivere che mi fa impazzire, che mi stupisce e che mi crea emozione e anche invidia (perché quella è un’arte e artisti non ci s’improvvisa). E’ un modo di scrivere che, nel mio ignorante modo di pensare (o, costretto sulla difensiva, direi nella mia “congrua sensibilità letteraria”), collega questo Zadoorian all’Hornby dei bei tempi, a Nichols, a Tropper e ad alcuni altri – perché mi viene in mente, seppure lo spessore e l’epoca di riferimento siano diversi, l’immenso Salinger? – che quando li leggo, mi sembra di averli accanto a mangiare bistecche ed ascoltare rock, raccontandoci le cavolate di una vita (in realtà non so se a loro, a parte Hornby, piaccia il rock; non gliel’ho mai chiesto; ma, secondo me, si). Perché li leggi e rivivi quello che, in qualche altro modo, hai vissuto solo qualche anno prima, o l’altro ieri. Solo che loro hanno questa capacità incredibile di descrivere situazioni e sentimenti che uno qualsiasi non ha.
Sono cronache di vita quotidiana quelle di cui narrano e, in particolare, le loro storie d’amore non è che siano diverse da quelle che hai vissuto tu. Ma loro sanno descriverle in un certo modo; magari esattamente quello col quale tu le hai percepite senza essere in grado di raccontarle neppure a te stesso.
Così mi sono ritrovato per 313 pagine nel furgone di Richard, a girovagare tra garage, mercatini e appartamenti disabitati, alla ricerca di oggetti assurdi, perfino immedesimandomi in questa sua passione, lontana da me come la luna.
Quanto a Theresa, chi non ne ha conosciuta una (magari priva di gatti) nella vita – deliziosa, cerebrale, umorale, ansiogena - senza essere in grado di gestire adeguatamente il rapporto, percepire esattamente cosa stesse accadendo, non parliamo poi di raccontarlo? E i momenti di esultanza e di disperazione propri di quel maledettissimo – perché effimero e comunque destinato a scomparire o a trasformarsi in qualcosa di diverso – sentimento che si chiama amore, chi non l’ha vissuti? Ma quanti sanno descriverli proprio così, come tu li hai provati?.
Un bel romanzo. Semplice, immediato. Che dà qualche ora di emozioni e bella lettura.
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