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Com-pli-ci
Com-pli-ci-tà. Sbagliato.
Com-pli-ci. Sorriso.
Lambert odia l'astratto. Pare quasi di vederlo mentre sulla sua bocca affiorano queste poche sillabe, tremendamente incosciente, insulso e frastornato da una scommessa col destino, da una scommessa con Edmond, la segretaria con cui intrattiene una relazione e la cui gonna, quando si abbassa dopo l'atto, ha il ritmo di una ghigliottina inappellabile. Un angelo di morte che accompagna a passeggio la madre con l'atroce spensieratezza di chi rifugge indisturbato la propria coscienza. D'altra parte le voci strazianti di bambini assaliti dal fuoco sono il coro perfetto, la melodia più dolce per quest'essere, questa bestia sovrumana che avvince col suo fascino, con le sue dannate forme.
Com-pli-ci. Lo statuto della loro relazione è una fredda alleanza, una guerra perenne che risveglia gli impulsi più animaleschi, la brutalità più sozza e avvinghiante. E i loro amplessi non sono accordi di pace, non sono il trionfo dell'amore (ché di questo non si è mai parlato), ma una polluzione dei propri abominevoli istinti che rompe il ritmo di questa placida intesa, una necessità fisiologica, meccanica. Rompere il ritmo, essere complici, rischiare, come imprigionati in una roulette russa in cui tutto si riduce a gioco. Correre, accelerare, essere dinamici perché:
la stasi è il matrimonio: insopportabile;
la stasi è la vita lavorativa: opprimente;
la stasi è la relazione extraconiugale: noiosa.
La stasi di una mano imprigionata tra le fauci della voluttà è la distruzione e il principio dell'implosione.
Ma quanto l'uomo è inestricabilmente solo, quanto anche il delitto, la complicità nel delitto, questo legame irresistibile e solido, questa tacita intesa, è debole dinnanzi agli interrogativi dell'anima, di fronte al giudizio insopportabile, anzi, insopprimibile, della propria coscienza che tremenda si erge a giudice della nostra malevolenza. Quanto la mente si nasconde a se stessa, quanto spesso la giustificazione, adombrando la colpa, la rafforza, la sacralizza.
Col-pe-vo-lez-za.
Sillabe che difficilmente raggiungono la superficie, a stento emergono dalla densa materia del ricordo, a stento si fanno strada negli anfratti sopiti e tenebrosi del proprio animo.
Con quale desolante squallore l'uomo corre, come i criceti, nella ruota della prevedibilità, con quale pietà lo sguardo di Simenon divelle il sarcofago che nasconde il mistero dell'uomo. Con quale coraggio, con quale incredibile intraprendenza, osserva l'abisso che l'uomo racchiude.
Simenon trae la materia della sua prolifica produzione dall'osservazione attenta del mondo, dallo sguardo nella psiche umana, dal suo superbo acume introspettivo. Uno stile lineare, senza eccessi, senza pareti scoscese, senza facili discese; un tono medio che emerge dagli esordi al centro dell'azione, percorre le immediate conseguenze, e come un fiume carsico scava i ricordi, il magma spesso e pesante della memoria, per poi presentarne un esito già preannunciato.
Un libro gelido nonostante il calore dei corpi, nonostante liquori che segnano la trama e nonostante il corpo seducente di prostitute immancabili. Simenon sembra dialogare con i suoi personaggi, intrattiene con loro una fitta corrispondenza e chiede:
chi sei?
chi siete?
chi sono, io?
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