Dettagli Recensione
Non è il Tropper migliore
A volte ci si trova a dover criticare i propri idoli letterari (con Hornby, per me, sta diventando un’attività ripetitiva visto che sono anni, ormai, che scrive solo cose risibili). Che sia chiaro: il romanzo in commento non è un bidone. Solo che dopo aver tanto apprezzato le prime tre opere di Tropper pubblicate in Italia – “Tutto può cambiare”, “Dopo di lei” e “Portami a casa” – questa mi ha un po’ deluso. Il marchio di fabbrica c’è: il linguaggio diretto, l’ironia, il sentimento, la caratterizzazione dei personaggi. In questo caso, però, il dosaggio non è ben riuscito e la parte sentimentale, ma in questo caso meglio sarebbe dire sentimentalista, è strabordante. Tanto da dare l’idea che l’autore abbia forzato un po’ la mano puntando troppo, con qualche impaccio, alla commozione del lettore.
Riassumo la storia che, da quanto leggo, costituirà oggetto di un film della Paramount Picture.
Conseguenza di una vita sbandata da rock star, il protagonista principale del racconto, Silver, distrugge il proprio rapporto familiare divorziando dalla moglie e perdendo completamente di vista la figlia. Si lascia quindi vivacchiare, trascorrendo il tempo in compagnia di personaggi in analoghe situazioni (divorziati) e mantenendosi esclusivamente con i diritti di un vecchio successo musicale nonché fornendo il proprio contributo, retribuito, alla banca del seme.
A sette anni dalla separazione, la ex moglie si appresta a risposarsi mentre la figlia diciottenne rimane incinta. Silver entra in crisi; realizza di aver sbagliato tutto; cerca di riallacciare il rapporto con moglie e figlia, ma nel frattempo viene colpito da una sorta di ictus che richiederebbe un rapido intervento chirurgico, al quale però è restio a sottoporsi perché ritiene di non aver validi motivi per vivere ulteriormente. Ciò non gli impedisce di entrare come un bulldozer nel ménage della propria ex famiglia combinando disastri a non finire fino ad una ricomposizione felice del tutto.
Ho fatto cenno a certi eccessi dell’autore. Silver, che pure è un omaccione sotto i quarantacinque, piange (non in senso metaforico) e si autoflagella (in senso metaforico) una pagina si e l’altra pure, sulla base di recriminazioni descritte un numero indefinito di volte. Gli accade poi, in qualche caso, di esternare i propri pensieri senza accorgersene (non mi pare possa ritenersi una conseguenza della malattia) e nei momenti più sbagliati, provocando reazioni isteriche e pianti (ci risiamo!) negli astanti.
L’ex moglie e la figlia sono un po’ più contenute nei loro stati emotivi: in qualche caso (ma solo in qualche caso) riescono a partecipare alla vicenda senza cader preda di lacrime e/o stati ansiosi.
Insomma, nel corso della lettura si ha la frequente sensazione di muoversi nella melassa.
Il romanzo, come sempre, è scritto bene, sicché la sufficienza se la merita comunque. Da questo autore, però, c’è da attendersi di più.