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L’importanza dei ricordi
“Bella e Sebastiano” di Cécile Aubry è un romanzo che negli anni Sessanta fu rappresentato in uno sceneggiato in bianco e nero, di produzione francese, e racconta la storia del piccolo Sebastiano che viene partorito in montagna in un giorno freddo e tempestoso. La mamma muore di parto e il neonato viene accolto nella famiglia del guardiacaccia Cesare.
Lo stesso giorno, in altro luogo, viene alla luce una cucciolata di pastori dei Pirenei. Tra i cuccioli, Bella (“Era ancora soltanto un cucciolo, ma già s’intuiva che sarebbe divenuta enorme e forte come la madre, tenera e dolce con chi le sarebbe stato amico, minacciosa nella collera”) è strappata alla madre e regalata a un commerciante. Dopo una lunga serie di peripezie e abbandoni, Bella ormai cresciuta (“La sua pelliccia… l’avviluppava in un vello soffice, spesso, lungo, brillante come quello d’un orso polare, macchiato soltanto dall’impronta del suo naso e dalle due lunghe linee che le circondavano gli occhi”) si abbandona all’istinto (“Non sapevano che, nella sofferenza della prigionia, l’animale ritrovava l’astuzia dei suoi selvaggi antenati”) e si rifugia sulle montagne (“Bella, ascoltando il richiamo delle alte montagne che avevano cullato la sua razza, fuggì verso i rifugi che esse potevano offrirle”).
Sebastiano, all’età di sei anni, affronta insieme a Cesare e ai figli Gianni e Angelina “i dispiaceri cui va incontro una onesta famiglia quando adotta un bambino di origine ignota” e l’ostilità dei coetanei (“Ecco Sebastiano!... il Gi-tano!”).
Il bambino spesso fugge dalla cascina ove vive con chi l’ha accolto, affronta la montagna (“per rimanere solo, a valle del salto del Lupo quando il torrente, uscito dalla gola, diventa più calmo. E’ là che Sebastiano aveva costruito due mulini…”) e arriva sino al “rifugio di pietre secche, là dove s’alzava da quasi sette anni la grande croce funebre”.
Intanto Cesare continua a offrire protezione e comprensione al bambino (“Che sarebbe diventato Sebastiano se non lo si aiutava a rassomigliare un poco agli altri?”).
La montagna al confine italo-francese (“Là, alla fine del Petit Défilé, c’è la frontiera”) è neve, bosco di abeti, torrente Gordolasque e covo di animali (“Entrambi avrebbero atteso il passaggio della volpe”).
“Il sole faceva scintillare le cime della Demoiselle e del Baou e, fra di esse, la cresta a forma di falce dove passava la frontiera”.
Lì, sulla montagna Sebastiano incontra Belle (“L’animale doveva ancora percorrere molta strada prima di ritrovare l’amore per l’uomo”) e, vincendo la diffidenza iniziale, stringe un’amicizia indissolubile con il cane bianco. Un legame che sarà più forte di ogni contrasto (“Doveva salvare Bella ed era solo. Negli altri non aveva fiducia: nessuno l’aveva avvertito” che gli uomini del canile sarebbero venuti a catturare Bella), di ogni pregiudizio, di ogni insidia della montagna (“Perciò bisogna andare nel Grand Défilé! Perché loro ne hanno paura. Tutti.”).
Questa storia giaceva sepolta nella mia memoria di bambino ed è riaffiorata grazie a una discussione intervenuta proprio qui, a q-libri. Con la lettura del testo (poi ho anche reperito sul web il cofanetto con il vecchio sceneggiato in francese) ho potuto riscoprire e riassaporare alcuni ricordi e suggestioni che giacevano sotto strati di anni e di esperienze. Anche per questo, il commento vuole essere il mio modo personale per augurare a tutti i q-amici e alla redazione un felice Natale.
“Nevicò tutta la notte. Poi spuntò il giorno di Natale…”
Bruno Elpis
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Commenti
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Una delle mie sigle preferite da bambina (e da adulta)....quanti bei ricordi...
Mi hai strappato un sorriso e ammorbidito il cuore.....
Grazie Bruno e auguri....
Pia
grazie e buon Natale anche a te Bruno.
Mariangela
Metto in lista!!!! Grazie per gli auguriiiiiiiiiiiii
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