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Il sole opprimente dell’ingiustizia
Uno sguardo rivolto al passato, alla propria terra lontana, la Palestina, ai villaggi, alle case, ai bellissimi ulivi. Uno al presente, alla situazione miserevole nei campi profughi. Un'altro al futuro, ad un paese ricco come il Kuwait che rappresenta la speranza di una vita migliore. Ma raggiungere questa sorta di “terra promessa” non è per niente facile, c'è un deserto da attraversare, un sole maledettamente caldo cui resistere, una frontiera da passare eludendo i controlli dei posti di blocco. Sono in molti a provarci rischiando la pelle, ma solo in pochi ce la fanno. Kanafani ci accompagna in uno di questi viaggi della speranza insieme a tre profughi palestinesi, Asad, il vecchio Abu Qais e il sedicenne Marwàn. Tre generazioni unite dalla necessità, tre rappresentanti di un popolo che dopo la terra rischia di perdere anche la dignità. La loro idea è quella di attraversare il deserto con il contrabbandiere Canna a bordo di un camion che ufficialmente trasporta acqua, nascondendosi nella cisterna vuota solo i pochi minuti necessari a sbrigare le solite faccende burocratiche alla dogana. Ma il caldo del deserto non perdona e qualsiasi contrattempo che possa allungare i tempi trasformerebbe l’improvvisato nascondiglio in una cocente trappola mortale. L’autore racconta il dolore della sua gente con l’inevitabile passione emotiva di chi ne è direttamente coinvolto ma tenendo comunque una linea politicamente neutra ed evitando di cadere nella facile tentazione di mettere in cattiva luce gli artefici di questa sofferenza. Lo stile è scorrevole e delicato, la narrazione è caratterizzata da continui flashback che permettono di conoscere meglio la vita dei protagonisti e di capire le ragioni che li spingono a tentare quest’impresa disperata. La nostalgia per il suolo natio, la rabbia per le misere condizioni di vita, l’illusione di potersi creare un futuro migliore sono i sentimenti dominanti di questo bellissimo libro che racconta la tragedia di un intero popolo che ha dovuto pagare, e paga tutt’ora, colpe non sue in nome di una discutibile politica che ha tentato di risarcire un’ingiustizia, quella subita dagli ebrei durante la shoah, creandone un’altra diversa ma non meno grave. Gli uomini sotto il sole cui si riferisce il titolo non sono soltanto Asad, Marwan, Qaid e tutti quelli che come loro, in ogni parte del mondo, sfidano la morte per garantirsi una vita, ma sono tutti gli uomini della terra su cui soprusi, abusi e iniquità incombono come il sole opprimente di mezzogiorno. A loro sembra rivolgersi l’ultima, disperata domanda del libro, come a chiedere perché mai tutta questa gente non faccia di più per reagire, per ribellarsi, per cercare un riscatto: “Perché non avete battuto sulle pareti della cisterna? Perché non avete chiamato? Perché? Perché? Perché?”
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