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Meglio un urlo che il silenzio...
“Ma venne un momento, indistinguibile nel tempo, in cui tutto questo s’interruppe. Non fu all’improvviso, non ci fu un istante in cui, come la morte, mette fine a tutto ciò che è stato prima; fu semplicemente indolenza graduale e crescente”.
Eutanasia di un amore che doveva spaccare il mondo.
Le fasi, quelle di sempre: i silenzi; la noia; i rancori. E anche una quarta e peggiore: la disperazione.
I rientri a casa senza saluti; le cene consumate in desolato e imbarazzante silenzio; il letto, come luogo per solo dormire (o vegliare, consumandosi). Distesi a pochi centimetri di distanza, ma lontani da ogni contatto, cerebrale o sessuale.
Ricordi lontani di fiammate sentimentali; grovigli di passione; grandi prove di amore senza fine. Gli interessi, i desideri, le abitudini comuni. Tutto stravolto, deformato, svanito.
L’incancrenirsi di situazioni nelle quali non si trova il coraggio o la volontà di sfondare il muro dell’incomunicabilità. Basterebbe, magari, una frase, una discussione, perfino un affondo o un grido. Ma non avviene nulla.
La fine di una coppia.
Il tutto, all’interno del girone infernale della monotonia: un’esistenza vissuta quasi esclusivamente nel lavoro e per il lavoro. Colleghi, più o meno simpatici, divenuti indesiderata confraternita forzosamente sostituiva del rapporto essenziale.
Colpisce allo stomaco, questo romanzo, a quanti questa situazione la vivono o l’hanno vissuta, a volte in modo inconfessabile; insinua dubbi in chi non ha ancora autentiche certezze.
Di questo tratta “Ricomincio da te”. Il resto è contorno.
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