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Come un vento gelido
Non mi soffermerò a lungo sulla descrizione del complicato rapporto tra i gemelli Lucas e Claus ( anche i nomi sono anagrammi l’uno dell’altro), morbosamente simbiotico e nello stesso tempo conflittuale, né sui loro esercizi di sopravvivenza, elaborati dal “noi” narrante per affrontare e superare il dolore, la sopraffazione, la guerra, la solitudine, la morte.
Lo scenario della narrazione, specialmente ne “Il grande quaderno” è cupo e angoscioso, da favola noir (persino la nonna è detta “la strega”. La città in cui si svolge la vicenda è occupata da un esercito straniero, la prevaricazione e la violenza sono realtà quotidiane per i due fratellini.
Nel secondo libro della trilogia, “La prova” Lucas tenta di sopravvivere alla partenza del fratello, che ha deciso di attraversare la frontiera, reinventandosi come libraio, e tenta di ricostruire una famiglia. Accoglie una giovane donna con il suo bambino, frutto d’incesto, che porta la traccia del peccato nella propria deformità; ama un’altra donna, instaura un forte legame affettivo con il bambino, che crescerà come se fosse suo .
Fin qui il percorso narrativo sembra essere lineare, siamo sicuri che il protagonista è uno dei due gemelli che abbiamo imparato a conoscere nel primo libro.
Agota Kristof (Csikvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27 luglio 2011) invece, ne “La terza menzogna”, il terzo libro, si diverte a spiazzarci, a suggerire percorsi alternativi e letture diverse della vicenda che ci ha appena narrato.
I nomi dei protagonisti e dei fratelli sono sempre quelli, ma la storie sono leggermente diverse, i personaggi subiscono traversie che non ricordavamo. Alcuni piccoli, ma fondamentali particolari, non collimano.
Il lettore si chiede se sta sbagliando a ricordare, se ha interpretato male la precedente narrazione. Sentendosi in parte in colpa per non aver prestato la dovuta attenzione ai dettagli, in parte preso in giro dall’autrice, si sforza di darsi delle spiegazioni.
Forse i gemelli erano una persona sola, forse uno era solo il proprio doppio elaborato dall’altro, forse non sono nemmeno mai esistiti.
Ecco, credo che sia proprio qui la chiave: quei personaggi non sono mai davvero esistiti. Essi sono solo una proiezione dell’autrice che ne fa ciò che vuole, ne manipola la storia, cambiando impercettibilmente la trama.
“La terza menzogna” è la letteratura, rappresentata proprio da quel misterioso quaderno manoscritto che attraversa il libro senza svelarsi mai del tutto.
Penso che, al di là del dolore per l’esilio impostole dal marito al momento dell’occupazione sovietica dell’Ungheria, che la Kristof esprime con una prosa secca e affilata come un’arma da taglio, all’autrice interessi riflettere sul valore della scrittura in sé, sulla capacità generatrice delle parole. Così come inventano per il lettore un mondo, nello stesso modo sono in grado di distruggerlo subito dopo.
“Sono convinto, Lucas, che ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient'altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia. (Victor, p. 210 ed.Einaudi)
Un libro per cui Victor arriverà a uccidere la sorella perché la sua presenza gli impediva di scriverlo, un “grande quaderno” che passerà come un testimone da un protagonista all’altro della trilogia.
E’ un libro duro, un libro che come un vento gelido si insinua sotto i vestiti, a contatto con la pelle, e non ti lascia. Devi metabolizzarlo per qualche giorno, aspettare che torni il sereno, prima di poterne parlare.
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Grazie a te, Silvia.
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ho letto tante recensioni a proposito, ma la tua analisi è davvero interessante!
grazie dello spunto Giuse