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Storia di un corpo
 
Storia di un corpo 2013-11-01 19:51:32 AndCor
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
4.0
AndCor Opinione inserita da AndCor    01 Novembre, 2013
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L'inesorabile destino che attende ognuno di noi

"Ciascuno di noi possiede un corpo."
"Tsk, e quindi? Non è un fatto ovvio? Sembra che lo dici come se avessi scoperto adesso di avere un corpo.".

Effettivamente, per il protagonista di questo romanzo è così, ed il libro non è altro che un diario che egli ha tenuto sin dall'infanzia con lo scopo di raccontare e scoprire il proprio corpo.
Un vero e proprio diario del corpo, "Non il mio corpo in carne e ossa, ma il diario che di esso ho tenuto all’insaputa di tutti nell’arco della mia vita."

Il protagonista non ha nome, ma ci dà alcune indicazioni biografiche: "...nato nel 1923, ero semplicemente un borghese della mia epoca, di quelli che usano ancora il punto e virgola e non si presentano mai al tavolo della prima colazione in pigiama, ma freschi di doccia, ben rasati, nel loro impeccabile abito da giorno."
Pennac non racconta il suo corpo, non lo esamina a mo' di autopsia 'a cielo aperto', piuttosto lo utilizza come contenitore di storie, racconti, avvenimenti.
Ci offre fulminei spaccati di giornate qualunque, caratterizzate da eventi che segneranno i passi di un narratore inconsapevole che avanza al buio verso il proprio inesorabile destino. Ed è nell’ovvietà del quotidiano che anche il lettore più acerbo riesce ad identificarsi, proprio perché è nell'azione più stereotipata che spesso è possibile scorgere una sfaccettatura anomala ed originale.

La vita come complicazione esponenziale fatta di misere banalità, dolori atroci e sconfitte che possiamo solo limitarci a registrare, mentre le rare vittorie non durano che il tempo di una giornata, subito cancellate da nuove preoccupazioni ancora più pressanti delle precedenti: ecco il messaggio, da puro Verismo verghiano, che vuole lasciarci lo scrittore francese;
Come in un vortice discendente, egli inizia la narrazione dalla sua infanzia non troppo idilliaca, sia per il carattere freddo e acido della madre sia perché il nostro (anti)'eroe' somiglia al Mattia Pascal goffo, timoroso e spersonalizzato del Pirandello.
La pratica del tennis, la frequentazione di ragazze dagli stili di vita non propriamente oxfordiani, la partecipazione alla Seconda Guerra Mondiale ed il matrimonio con Mona dopo essere ritornato dal conflitto con un gomito spappolato saranno le tappe decisive che lo faranno diventare un uomo consapevole di sè stesso e del proprio corpo.
Inizia così un florido periodo, in cui si vedranno "Ascesa professionale, battaglie politiche, confronti di ogni genere, articoli, discorsi, incontri, viaggi ai quattro angoli del mondo, conferenze, convegni..."
Ma qui, inesorabile, viene raggiunto il punto più alto della vetta. Ossia, finisce l'ascesa ed inizia una discesa che sappiamo dove conduce;
Il matrimonio gli regalerà due figli, Bruno e Lison, in cui rivedrà nostalgicamente sé stesso da piccolo e comprenderà di essere giunto ad una fase del proprio percorso di vita ormai a senso unico, scrivendo che 'l'uomo nasce nell’iperrealismo per dilatarsi pian piano fino a un puntinismo alquanto approssimativo per poi disperdersi in una polvere di astrattismo'.
L'espulsione spontanea di un polipo dalla narice, gli angiomi sul braccio, l'acufene all'orecchio destro e la cataratta agli occhi rappresentano solo il preambolo del Capitolo 9, quello conclusivo, intitolato 'Agonia', anche se già in precedenza si era definito un 'sacco pieno di buchi, perdo un po’ di qua e un po’ di là', tant'è che fatica anche a riconoscersi nelle foto scattate recentemente.
Qui il contenuto diviene prettamente atemporale, fino a crollare definitivamente perchè 'Scrivere mi sfinisce. La penna è pesantissima. Ogni lettera è un’ascensione, ogni parola una montagna".

Saranno la leucemia e le trasfusioni di sangue a far calare il sipario del romanzo.
Non esiste il finale perché non esistono le energie per scriverlo e nemmeno per tentare soltanto di immaginarlo. Significherebbe pensare senza il proprio corpo, significherebbe annichilirsi: un dolore che l'autore preferisce risparmiare a tutti noi.

Pennac ci lascia in balìa di un racconto, di una storia, di un corpo che un giorno potrebbe essere il nostro, ma ci fornisce un efficace antidoto, che sicuramente anche Verga avrebbe apprezzato. Lo troviamo nelle ultime parole della più cara amica del protagonista, Fanché, con le quali concludo questa recensione:
'Non fare quella faccia, petardo, lo sai che prima o poi si finisce tutti nella maggioranza."

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