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Quando finisce un amore
“Il malinteso” è il primo romanzo di Irène Némirovsky.
Nella storia adulterina tra Yves Harteloup, giovane prestante con un passato di ricchezza e un presente da impiegato déclassé, e Denise Jessaint, donna della Parigi-bene, ben accasata con il ricco Jacques (“il matrimonio, un vero matrimonio francese, d’amore e di convenienza, poi la maternità…”), ho letto sia l’atteggiamento dell’autrice nei confronti del “genere maschile”, sia la dinamica – oserei dire classica e da manuale – dell’evoluzione del sentimento amoroso.
COME PER MIMI’, ANCHE SECONDO IRENE “GLI UOMINI NON CAMBIANO…”
Per Irène infatti sono:
irrazionali (“Brontolò con la mancanza di logica tipica degli uomini”).
Pratici e dediti agli affari: “Lei aveva immaginato che si occupasse di affari, come Jacques e come la maggior parte degli uomini del suo ambiente, quegli affari di cui le donne non capiscono nulla, se non che si traducono in grosse somme…”
Traditori e, per questo, da perdonare: “Mia madre… lo ha perdonato anche quella volta, una delle tante. Lo perdonava sempre: i suoi tradimenti erano quasi un’opera d’arte…”
Spaventati dall’amore: “Perché non dite chiaro e tondo amore? Vi spaventa così tanto questa parola?”
Suscitano un sentimento contrastante: un “misto di estraneità e di superstizioso rispetto”.
Hanno “una volontà che si subisce senza capire, come la volontà di Dio”.
Infine sono biecamente materialisti: “No, ho un’automobile… E’ meglio di una donna, però succhia altrettanto denaro…”
L’EVOLUZIONE ACCADEMICA DI UN SENTIMENTO
Il sentimento invece:
sboccia in un luogo romantico (“Hendaye all’epoca in cui era un semplice borgo di pescatori e contrabbandieri…”).
Inizialmente è carico di fremiti e poesia: “Quei fugaci e deliziosi momenti erano stati talmente simili a un sogno che ora Denise si chiedeva se li avesse davvero vissuti”.
Calato nella vita di tutti i giorni, si scontra con vincoli di ogni genere, regredisce e getta nel panico, come dice il detto-poesia:
“Amare e non essere amato,
essere a letto e non dormire,
aspettare e non veder arrivare
sono tre cose che fanno morire.”
E’ incompatibile con le certezze: “…Trovava ogni sorta di pretesto per arrivare in ritardo, troppo sicuro della presenza di lei, della sua disponibilità, del suo amore.”
Diviene soffocante, proprio come esclamò un bambino alla madre che lo stringeva: “Mi ami troppo forte, mamma, mi soffochi!”
A lungo andare richiede di essere tonificato da varianti e additivi. Che Denise intravede nel cugino Jean Paul: “E questo non solo la divertiva, ma dava a quei pomeriggi un sapore più intenso e più piccante.”
Infine, è destinato a finire: “Quella cosa doveva accadere”. Una fatalità?
Retrospettivamente è “monotonia, noia, ansia, tristezza…” Un ”amore grigio e malinconico come una giornata d’autunno”. “Immagini sfocate e pallide, come morte”.
Poi interviene un ricordo: “Il suo dolce, imprevedibile sorriso…”
E una consapevolezza: “Io non lo sapevo che era quella, la felicità… E ora è finita…”
Questa autrice mi piace, decisamente mi piace. La storia è un po’ lenta, minuziosa nelle descrizioni, poco votata all’azione. Un finto melodramma sotto il quale covano le ceneri di un fuoco che sta per esplodere. Un romanzo proprio come piace a...
… Bruno Elpis
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Commenti
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In lista...logicamente!
Bravo come sempre il nostro grande Bruno...
Ciao carissimo, Pia.
bella la tua rece.
sull'amore si può dire di tutto e di più, nessuno ti può contraddire. è individuale sia la definizione che il vissuto.
più invecchio più lo considero una cosa che ha una fine, dopo essere iniziato ovviamente.
già il fatto che sia finito, significa che c'è stato, e non è poco!
scusa bruno non volevo tediarti.
notte paola.
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