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"La vita trova il modo di rinnovarsi"
Davvero difficile rendere giustizia ad uno dei libri che è risultato essere tra i più coinvolgenti in cui sono incappata in questi ultimi anni. E mi sorprende essere la prima a recensirlo. Così tenterò di fare del mio meglio per incuriosirvi e rivalutarlo adeguatamente.
Gioconda Belli, ne “La donna abitata”, fa rivivere la dittatura di Somoza in una ipotetica città dell’America latina, Faguas. Ispirandosi alla sua diretta esperienza nel Movimento di Liberazione Nazionale Sandinista, ci si ritrova coinvolti nella doppia (o forse più) vita della protagonista Lavinia, figlia di una famiglia “verde” (aristocratica) ed abile architetto che, dopo aver terminato gli studi in Europa, ritorna a Faguas per vivere come una donna libera e indipendente (suscitando il malcontento dei genitori e vari pettegolezzi nell’ozioso “ceto verde”). La storia prende avvio quasi in totale normalità, raccontando delle abitudini, di esperienze passate e dell’infanzia, delle vecchie e nuove amicizie della giovane, della bolla di sapone in cui è contenuta e che, nello stesso tempo, la congiunge e la separa dalla realtà misera e squallida che la circonda. La povertà e la ricchezza vivono l’una accanto all’altra, guardandosi senza osservarsi.
Lavinia si lascia vivere seguendo il modello di donna europeo, non per ambizione, ma per accentuare questo distacco: la compassione e la pietà sono solo sentimenti giustificatori, che attenuano il senso di colpa di chi può vivere chiudendo gli occhi di fronte all’indigenza altrui.
Ad osservarla c’è l’ingegnoso personaggio di Itzà, che non comprende la sua inspiegabile passività: Itzà è ciò che c’è di mistico, leggendario, fascinoso, è lo spirito di una guerriera azteca che si rinnova nella fioritura della natura della sua terra. La più spontanea ed autentica percezione del mondo, in tutte le sue manifestazioni. Ciò che maggiormente colpisce è la purezza e naturalità della relazione tra uomo e donna. Così essenziale, eppure anche così complessa:
“ L’uomo ci sfugge, scivola tra le nostre mani come un pesce in un fiume calmo. Lo colpiamo , lo tocchiamo, gli diamo fiato, lo ancoriamo tra le gambe e continua ad essere distante come se il suo cuore fosse fatto di un altro materiale. […] Per lui, l’amore era ascia, uragano. Lo smorzava perché non gli infiammasse il senno. Lo temeva. Per me, invece, l’amore era una forza con due estremità: una di filo di fuoco e l’altra di cotone e di brezza. […] Non potevo accettare che portassero dentro di sé solo l’ossidiana necessaria per le guerre. Mi sembrava che non manifestassero l’amore per il timore di sembrare donne.”
Itzà è l’autoctonia pregnante di chi, per primo, si è conformato alla terra: “un rapporto di comunione con la natura e in una sua umanizzazione o viceversa, nella –naturalizzazione- della specie umana” (Gioconda Belli). Itzà è il suono delle antiche tribù che deve continuare a battere, è “la lama per tagliare l’indifferenza”.
Solo quando le due donne abiteranno lo stesso sangue, l’essenza di Lavinia sarà risvegliata, l’enigma femminile si dissolverà, pacificando il dissidio interiore. L’esistenza assumerà il valore arcano che dà contenuto e spessore alla morte. Vita e Morte parificate. Vita e Morte presentate non come deserti sterili, ma feconde, perché riempite di significato e sentimento. Vita e Morte, violentate dal mondo circostante, sono modellate da scelte e votate alla riconquista dell’integrità.
“E’ l’unica cosa che di noi è rimasta: la resistenza.” (Itzà)
Perfetto stilisticamente. Immaginate uno corda in costante tensione che non vi permetterà di distrarvi, ma di piangere e ridere assieme ai personaggi. Luci e ombre, miserie e grandezze, di una compagine di cui ciascuno di noi fa parte con le proprie colpe e meriti.
Credo di aver anticipato fin troppo. Ma ciò che è importante capire è che, anche in una realtà così ferina, cruda e solitaria, l’umanità è possibile finché si perseguirà l’Amore (“imperfetta approssimazione della vicinanza”) per il proprio compagno, per i propri cari, per i propri ideali, tanto più alti, tanto più nobili, quanto più condivisi. Ed è l’amore l’impulso dominante, il principio ricercato e trovato da Itzà, e smarrito da chi è venuto dopo.
Dunque, leggete “La donna abitata” e lasciatevi amare.
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Commenti
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Comunque bella e sentita recensione :)
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Ciao, Daniela.