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il messaggio nascosto
La città ucraina in cui i fatti si svolgono, è divisa in tre aree distinte.
In basso i dannati, fra le tenebre e le fiamme dell'inferno; nella città bassa abita la marmaglia, ebrei infrequentabili, piccoli artigiani e commercianti, vagabondi, frotte di bambini che si rotolano nel fango e parlano solo yiddish, con indosso stracci.
Al centro, a metà strada fra le colline e il ghetto, ci sono i comuni mortali, rischiarati da una luce pallida e quieta. Una zona piatta, in cui convivono borghesi russi, polacchi ed ebrei, divisa al suo interno però da rivalità e disprezzo reciproci.
In alto il regno degli eletti, i ricchi israeliti che vivono in cima alle colline coperte di tigli.
La scrittrice si sofferma dettagliatamente sull'organizzazione della società del tempo, sul desiderio di salire nella scala sociale, dimostrare agli altri ebrei di valere più di loro, di aver guadagnato più soldi, di essere stato più abile nel vendere partite di barbabietole o frumento. Chi nasce nel ghetto ma riesce a mettere da parte un piccolo gruzzolo, può salire di un gradino nella scala sociale, guadagnarsi il rispetto della sua gente, per la quale diventa oggetto di invidia e simbolo di speranza.
La narrazione segue le vicende di Ada, Ben, Harry, legati da uno stesso cognome, divisi dalla vita e nella vita, più fortunata certamente per Harry che sente con terrore il richiamo dei lupi, di quei suoi fratelli selvaggi. Il significato è enorme. Quei due bambini affamati rappresentano per i ricchi ebrei un eterno monito, il ricordo atroce e vergognoso di ciò che erano stati e di ciò che sarebbero potuti essere. O anche di ciò che sarebbero potuti tornare ad essere. Una disgrazia stranamente e sinistramente contagiosa. Come tutti gli ebrei, Harry nutre per i tipici difetti della sua razza un'avversione più profonda, più sentita di quella che potevano suscitare in un cristiano. Quella tenace determinazione, quel bisogno quasi selvaggio di realizzare i propri desideri, quel cieco disprezzo dell'opinione altrui erano tutte manifestazioni classificabili, nella sua mente, sotto una stessa etichetta: “insolenza giudea”.
I cani e i lupi del titolo, non sono due gruppi distinti, ma in tutta la narrazione gli uni tendono a scappare dagli altri, a inseguire gli altri, a trasformarsi negli altri. Forse perché sono la stessa cosa.
Seguiamo le vicende dell'amore sconfinato di lei per lui, tanto che lei “non saprebbe fargli del male neppure in sogno”. Tuttavia questa parte della narrazione resta un po' in secondo piano, alcuni passaggi non sono del tutto raccontati, i fatti accadono e basta.
Ma forse l'autrice aveva semplicemente un altro messaggio da dire. Che a me, penso, è riuscita a raccontare.