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L’iniziazione
Ne “Il ballo” Irène Némirovsky utilizza la formula dell’iniziazione per scatenare furore e fulmini su uno dei conflitti che caratterizzano le sue opere: quello tra madre e figlia, in una concezione del rapporto “che non prevede reciprocità e condivisione e neppure complicità, ma solo concorrenza e esclusività” (dalla prefazione di Maria Nadotti).
Storia, società, etnologia e antropologia pullulano di “riti di passaggio”: l’investitura del cavaliere nel medioevo, “i balli delle debuttanti” o le feste di addio al celibato in epoca più recente, la cerimonia accademica del conferimento della laurea, i riti che certe etnie riservano alla fase del passaggio all’età adulta … in fondo sono tutti esempi della medesima struttura.
E un rito di passaggio è anche quello che Rosine Kampf (“Un bel giorno, erano diventati ricchi, così, all’improvviso, lei non aveva capito come”) vuole inscenare per introdursi nella “bella società” parigina: organizza un ballo al quale invita amici, conoscenti e chi più ne ha più ne metta (“… inviti … Ne spedisco circa duecento, capisci?” “Solo al secondo o al terzo si può fare una cernita… Ma questa volta bisogna invitarne a bizzeffe…”). Per transitare – da arricchita (“dopo il geniale colpo fatta alla borsa da Alfred Kampf”) – insieme al marito Alfred (“un piccolo ebreo scarno con gli occhi di fuoco”) nella “società che conta”.
I preparativi fervono in modo febbrile e Rosine è eccitata (“Sono tre notti che non dormo; sono a pezzi, sento che sto per impazzire!”): poi finalmente giunge la serata del fiabesco ballo (“La cameriera stava disponendo sul letto il vestito per il ballo, di lamé argentato con fitte frange di perle, le scarpe che brillavano come gioielli, le calze velate di mussolina”), da celebrare in pompa magna (“Con la grande tavola in mezzo, piena di selvaggina, pesce in gelatina, ostriche sui vassoi d’argento …”).
Ma qualcosa va storto, perché Antoinette (“C’erano dei momenti in cui odiava a tal punto gli adulti che avrebbe voluto ucciderli, sfigurarli, o almeno poter gridare…”), la figlia quattordicenne (“Con quale diritto la mandavano a dormire, la punivano, la insultavano?”), ci mette lo zampino, si vendica (“Camminava verso il salone, come un assassino novello attratto dal luogo del delitto”) e rovina la festa alla madre. Del resto, non tutte le iniziazioni … riescono alla perfezione!
Gran finale in equilibrio tra tragedia, ipocrisia e indifferenza (“Ma Antoinette non era commossa; provava una sorta di sdegno, di indifferenza sprezzante”): “Come si può piangere così, per una cosa simile … E l’amore? E la morte?”
Il racconto è tanto crudele quanto efficace nello smascherare meschinità e sottili giochi di psicologia familiare e umana.
Bruno Elpis
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Commenti
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La Némirovsky è brava nel delineare i personaggi ed è per questo che ti consiglio di leggere "i doni della vita"
Condivido Anna Maria! Non è un romanzo, è "un racconto lungo", ma è praticamente perfetto quanto a stile e contenuti. :-)
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