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Alza gli occhi al cielo. Ancora e per sempre.
Era da tempo che non leggevo un libro come questo. Finché le stelle saranno in cielo mi ha dato la possibilità di sognare ancora una volta che tutto (o quasi) può trovare una soluzione, se siamo noi a volerlo profondamente e a impegnarci perché ciò avvenga.
Scritto da Kristin Harmel, appena uscito nell’agosto del 2012 ha riscosso subito un successo grandioso, evidenziato anche dal fatto che i diritti per la pubblicazione sono stati molto desiderati dalle case editrici di tutto il mondo e, dopo lunghe contrattazioni, la Garzanti li ha ottenuti.
La scrittrice presenta già dalle prime righe Hope, alle prese con mille problematiche personali: le condizioni economiche della pasticceria di famiglia che gestisce da tempo sono precarie, ha alle spalle un divorzio fresco fresco dall’uomo che aveva sposato essendo rimasta incinta della figlia, un’adolescente capricciosa che ha sempre qualcosa da dire nei confronti della madre, e che sa di trovare “rifugio” sicuro dal padre, molto più flessibile di lei; e, come se questo non bastasse, la giovane donna americana deve avere a che fare anche con l’Alzheimer della nonna, figura di sostegno per tutta la sua vita, sostituta della madre sempre assente e morta prematuramente. In uno dei giorni di lucidità, nonna Rose consegna a Hope e alla sua pronipote un elenco di nomi, chiedendole di cercare approfonditamente, e di andare a Parigi per cercare quelle persone. Dopo le sue prime titubanze e i suoi dubbi sulla reale lucidità della nonna, Hope si reca a Parigi, lasciando chiusa la pasticceria per qualche giorno. Una volta arrivata Hope scoprirà delle cose che non avrebbe mai immaginato, se non con l’aiuto del tuttofare della pasticceria…
Il romanzo, che merita assolutamente di essere letto, affronta tematiche fondamentali, quali, il dialogo interreligioso, la ricerca del passato per rinascere e per trovare pace interiore nel presente e l’Olocausto, fenomeno nel quale i protagonisti della vicenda sono in qualche modo coinvolti per varie circostanze. Per come è stato affrontato il tema del dialogo interreligioso, questo libro presenta una certa somiglianza con “Vita di Pi” di Yann Martel, il cui protagonista è affascinato da tutte le religioni e finisce per aderire ad ognuna di esse, nonostante la perplessità dei genitori. E poi, l’Olocausto, parla da sé.
Lo stile della Harmel è estremamente fluido e chiaro: questa scelta mi pare opportuna, visto che l’autrice ha preferito abbandonare la scrittura presuntuosa, a favore della storia. La narrazione è affidata a Hope e a sua nonna, Rose, i cui capitoli iniziano sempre con una ricetta della pasticceria che ha fondato a Cape Cod, ora gestita con tenacia dalla nipote.
La scrittrice, bostoniana di nascita, è appassionata di scrittura sin da quando era una bambina, e durante gli studi, aveva iniziato a collaborare come reporter con una testata americana. Laureata in letteratura, ha ottenuto un posto nella rivista americana “People”, con la quale collabora tuttora. Ha pubblicato diversi romanzi, bestseller negli Stati Uniti ma inediti in Italia.
Il titolo fa riferimento a una storia che la nonna raccontava sempre a Hope, che la ascoltava inconsapevole che fosse la storia del suo passato; oggi non siamo tanto abituati a guardare le stelle, la nostra vita è spesso troppo frenetica per accorgerci di quanto il cielo sopra di noi sia stellato: da questo punto di vista, il libro ne dà una lezione di vita bellissima. Alziamo lo sguardo, puntiamo gli occhi in alto. Ancora e per sempre.