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L'eleganza del riccio
 
L'eleganza del riccio 2013-08-21 12:30:58 paolo migliaro
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paolo migliaro Opinione inserita da paolo migliaro    21 Agosto, 2013
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Il riccio dischiuso

L'essere umano che abita questa civiltà è insincero e rinchiuso come un riccio nelle sue paure e malgrado indossi le maschere di tutti i giorni egli non riesce ugualmente a sanare le sue angosce, le sue depressioni, come accade per il personaggio della mamma dell’argutissima giovane protagonista.

Si dischiude davanti alla nostra mente la presenza della portinaia - parallelamente alla vita della bambina, della mamma e della sua famiglia socialmente altolocata - che svolge il servizio nell’androne del prestigioso palazzo; una semplice donna di mezza età, non troppo carina, amante dei gatti e che ha nel suo riposto di lavoro, in un piccolo e angusto retro, una biblioteca piena zeppa di libri che lei legge non appena ha un attimo di inattività e in cui distende la sua serena occupazione al pari di come si nutre senza alcuna avidità di quella cioccolata che non le manca mai...

In quei libri c’è il suo tempo migliore, ci sono i suoi sogni e il suo bisogno di esplorare il mondo dei pensieri. Renèe salva se stessa in quell'apertura; le sue letture e le sue segrete riflessioni non ingenerano isolamento, ma attenzione intorno a sè. Da quell’antro nascosto alla notorietà riesce a comprendere il mondo. Lo capiamo a riguardo di un amico, un uomo di mezz’età, perdigiorno e solitamente ubriaco che ogni tanto la va a salutare per due chiacchere, e verso cui non ostenta alcun moralismo, ma solo raccomandazioni amorevoli. Non ostenta nessuna carità pelosa, ma una semplice, naturale compagnia umanizzata ed umanizzante.

L’incontro con il ricco signore giapponese che cerca l’acquisto di un appartamento nel prestigioso condominio inizia con uno scambio glabro di battute dinanzi al finestrino della sua guardiola; è lui, che incuriosito dal guizzo intellettivo della portinaia con una pertinente, penetrante citazione sul libro di Tolstoj, Anna Karenina, ha interesse ad una reciproca conoscenza... E sarà un incontro che porterà alla condivisione della sorte umana e ad un medesimo linguaggio interpretativo della storia.

Ogni cultura è una lettura diversa delle medesime cose in cui l’uomo esiste, ma l’incontro può avvenire sempre dentro un linguaggio interiore nei luoghi accarezzati dove ciascuno trova la propria vitalità esistenziale ed anche la propria consolazione. L'incontro è in fondo solo una questione di sincerità e del coraggio nel dimostrare sè stessi. Di schiudere il riccio con chi merita. Una possibilità che è data unicamente agli spiriti maturi della capacità di relazione, della misurazione dei propri progressi, della disponibilità ad apprendere, nella generosità del farsi conoscere anche nei propri limiti.

Una consolazione che diventerà vicendevole negli incontri successivi tra gesti di cordialità, degustazioni di bevande, pasticcini e discorsi fatti di considerazioni dotte, e da una scena di due giovani giapponesi che camminano insieme verso un orizzonte che viene vista e goduta da entrambi su uno schermo televisivo e che emblematicamente li unisce come se loro due appartenessero ad un unico destino, come è vero che anche noi lo abbiamo insieme a tutti gli uomini.

L’epilogo di Renèe è sicuramente triste, ma reale, reale come è la morte, evento che fa parte del destino umano. In un atto fatale dovuto all' amore spontaneo, senza cautela e risparmio: la colta portinaia muore salvando l'amico che attraversa imprudentemente la strada. Come nel sacrificio cristiano...e il pensiero ricorre al ricordo delle emozioni fortissime di quanto sia stato duro accettare che tanto spirito, soprattutto quello che troviamo nelle persone che amiamo e stimiamo profondamente, non ci parli più...

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Renèe è troppo snob per ispirare simpatia, e trovo il romanzo un tantino sopravvalutato. Comunque sarebbe stato meglio non rivelare il finale!
Anche per me è stato un romanzo coinvolgente e ho amato Renee, anche se avrei voluto un finale diverso, giusto per dare una possibilità in più a un personaggio rassegnato alla sua condizione di umiltà (apparente), sia intellettuale che economica.
bella recensione
Con tutta franchezza penso che fare cultura, anche attraverso le recensioni, non sia favorire l'aspetto ludico. Ma una ampia comprensione che non può escludere il finale, poichè questo sottende, nel caso, tutta la ragione morale del romanzo.
I romanzi più alti non possono fare a meno di imitare la vita che spesso si presenta all'essere tragica o drammatica. Il salto di maturità è quello di affrontarli culturalmente.
In risposta ad un precedente commento
Raffa73
31 Agosto, 2013
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Quindi un romanzo che non ha un epilogo tragico non imita la vita? o peggio non è un romanzo alto?
Ho votato positivamente la tua recensione, ho solo espresso un mio giudizio sul finale del romanzo, che mi è anche piaciuto molto. Forse, come tu scrivi, devo fare ancora "il salto di maturità per affrontarlo culturalmente".

Raffa, spesso è drammatica e te ne accorgi progressivamente avanzando nell'età più matura. La risposta è per Cristina che ritiene nel commento di non doversi rivelare il finale. Un romanzo non è un giallo. Un caro saluto.
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