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Viaggio a ritroso tra Europa e Medio Oriente
La storia del giovane ebreo Efraim Mani, soldato impegnato nella guerra di Libano nei primi anni ottanta, da il via ad un affascinante viaggio a ritroso nel tempo che, attraverso le vite dei suoi antenati giunge fino al 1799, anno di nascita del patriarca Abraham, commerciante di spezie e vice-rabbino. Spaziando tra Europa e Medio Oriente e rivivendo gli importanti eventi storici che hanno caratterizzato gli anni in questione, la delicata penna di Yehoshua offre un pregevole ritratto di una famiglia tormentata da un difficile destino, in un mondo accanito in una continua e inarrestabile guerra per il dominio politico, economico e religioso. Ottima l’analisi psicologica dei protagonisti, ammalianti le descrizioni dei luoghi, da Creta, culla della civiltà, a Istanbul, baluardo sacro per l’incrocio delle razze degli uomini, ad una spirituale Gerusalemme, il cui solo nome è di per sé più grande di qualsiasi edificio, moschea, muro o chiesa. Originale la tecnica narrativa usata dall'autore, che ci presenta i Mani attraverso le parole di chi li ha conosciuti, con un dialogo-monologo di cui ci pervengono solo le parole della voce narrante e non anche quelle del suo interlocutore. E così è la giovane Hagar ad iniziare questo viaggio parlando con sua madre di Efraim, il suo fidanzato, che si trova a combattere ancora sul fronte libanese nonostante un trattato di pace già firmato tra Gerusalemme e Beirut, e del Signor Mani, padre del ragazzo e aspirante suicida. È poi il turno del militare tedesco Egon che, durante la seconda guerra mondiale conosce a Creta l'esiliato politico Josef Mani e suo figlio, rispettivamente bisnonno e nonno di Efraim, che cercano di annullare il proprio essere ebrei per sfuggire alle persecuzioni naziste. Tocca poi a Horovitz, tenente inglese incaricato di indagare su un caso di spionaggio a Gerusalemme sul finire della prima guerra mondiale, farci conoscere meglio Josef e spiegarci le ragioni del suo esilio. Ci si sposta quindi a Cracovia, nell’ultimo anno del diciannovesimo secolo, dove il dottor Efraim Shapiro ci presenta il padre di Josef, il ginecologo Moshè, che ha conosciuto durante il III Congresso sionistico e seguito fino a Gerusalemme. Solo nel quinto e ultimo dialogo la parola è affidata ad un membro stesso dei Mani, il patriarca Abraham, nonno di Moshè, che nell’Atene del 1848 scossa dalla ribellione del popolo greco contro i dominatori turchi, narra l'inquietante e torbida storia della morte del suo unico figlio maschio. Cinque dialoghi, due secoli di storia, sette generazioni di una famiglia che, come il popolo cui appartiene, sembra impegnata in una eterna ricerca di un’identità, di una stabilità e di una pace che appaiono sempre più difficili da trovare.
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mi piacciono queste saghe familiari, nelle quali, al contrario dell'usuale , si riesce a vedere il percorso delle persone, non solo per il loro stesso vissuto, ma anche attraverso e con il bagaglio precedente. come sappiamo ciò influisce sulle vite e le scelte dei posteri.
Bravo
paola
bravo Enrico, il consiglio di Fede è stato ottimo!
@Paola: hai ragione Paola, si dovrebbe sempre imparare qualcosa dalle esperienze di chi ci ha preceduti...
@Federica: si, mi è piaciuto davvero tanto...un altro ottimo suggerimento ;-)
@Silvia: è vero, Yehoshua ha usato una maniera inusuale di raccontare, molto originale, ma di grande effetto!
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