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TRA ROTH E THOREAU DOVE SI TROVA LA LIBERTA'
Che Franzen sia un grande scrittore non v’è alcun dubbio. Che Franzen nutra una sincera ossessione per Pastorale Americana è ormai palese anche alle nonne, già le Correzioni erano un chiaro tributo, ma qui in Libertà ritroviamo ancora una volta e massicciamente i rimandi al capolavoro di Roth.
Ho finito stanotte questo volumone dopo un bel periodo di lettura.
Più volte mi sono interrogata su come approcciarmi a questo romanzo, a volte demotivata, a volte sinceramente commossa e partecipe.
La vicenda. Ci troviamo nuovamente di fronte ad una famiglia americana. Lui, Walter, porta con sé la sua storia pregressa, erede di “migrazioni” dal vecchio continente e nello specifico la Svezia e votato all’ambientalismo tra alti e bassissimi e una devozione per le specie in estinzione di uccelli. Lei, Patty, benestante di origine ebrea, sembra aver dimenticato il suo background e si è dedicata anima e corpo allo sport, il basket, ma che poi ha abbandonato. Dall’unione di queste due anime complesse e confuse (in base alla pagina) nascono Jessica e Joey, anch’essi complessi e distorti. Una famiglia liberal, progressista, democratica. Il terzo incomodo, l’amico del liceo che diventa rockstar al pari degli U2 ma che soffre assurdamente della sua fama e crea la tensione e la frattura nella coppia… La folle idea di decrescita demografica idealizzata da Walter e dalla sua assistente Lalitha in paesi occidentali dove la nascita è già pari allo zero… Una casa al lago che mi sono immaginata meravigliosa, oggetto di fughe, contese, dolore e piacere. Walden ovvero Vita nei boschi di Henry David Thoreau ad aleggiare di continuo in tutto il libro e ad esplodere nel finale.
E’ sapiente il gioco di digressioni e incastri che Franzen innesta per porci di fronte alle varie tipologie di Libertà. Questo è il titolo e sembra che l’autore tenda a chiarircelo ogni tot pagine se mai l’avessimo dimenticato. Fantastiche le sferzate contro l’amministrazione Bush, la guerra nel golfo e la politica che serpeggia in quasi ogni pagina del romanzo.
Ma spesso in queste 600 e più pagine ci si chiede dove l’autore voglia realmente condurci. Se da un lato i personaggi come Walter, Richard e Joey risultano totalmente riusciti, a tutto tondo, coinvolgenti (Jessica è evanescente, Connie poco meno), dall’altro la figura che regge l’intera storia, Patty, dona al lettore spesso e volentieri l’irritazione più sincera, con fisime che potrebbero appartenere ad un’adolescente e che il lettore tende a non perdonare perché inevitabilmente questo è un romanzo in cui si parteggia. Ma queste fisime, questo turbamento esistenziale interno a Patty che si trasferisce nel rapporto con Walter e in quello con i figli e il mondo intorno, è dovuto ad un sincero problema psicanalitico che ha per fondamento l’assenza d’amore che la protagonista ha subito nella sua famiglia d’origine, cioè i suoi genitori e soprattutto sua madre non hanno mai dimostrato amore per lei.
Franzen per tenere insieme la storia, in modo geniale, ricorre ad un espediente. Patty che durante il suo percorso vitale fa ricorso ad uno psicoterapeuta, viene invitata a tenere un diario. In questo diario ci sarà annotato non solo ciò che succede o è successo, ma pure emozioni, pensieri, proiezioni e dubbi. Questo diario scatenerà la più grande frattura all’interno della famiglia, ma non spiego come.
E questo funziona fino ad un certo punto, o meglio fino a quando si arriva al prefinale. Quando cioè ritroviamo Patty che si rimette a scrivere, dopo alcuni reali drammi e dopo sei anni…
Un amico giornalista a cui avevo parlato della mia lettura non sempre positiva di Libertà, mi aveva consigliato di leggere anche un altro libro che utilizza un metodo simile e che in qualche modo assomiglia alla narrazione di Franzen e che inserisce la politica e la società all’interno della pagina, Fratture di Massimiliano Nuzzolo, in cui la narrazione procede in profondità proprio attraverso una specie di narrazione epistolare e funziona perfettamente facendo interagire i personaggi tra loro e il mondo che li circonda e che irrompe nelle loro storie in maniera totalmente credibile. Perché lo cito? Primo perché è italiano e troppo spesso sminuiamo i nostri talenti semplicemente perché troppo votati ai libri stranieri, secondo perché in quel romanzo poi i personaggi interagiscono realmente e costruiscono una vera storia, mentre in Libertà quando si arriva all’epilogo sembra di essere di fronte ad una favoletta. Tutto va a posto magicamente e senza un perchè lasciando nel lettore parecchie perplessità. Senza mettere in dubbio la qualità di Franzen e dei suoi romanzi, che amo nel modo più totale e profondo, dopo più di seicento pagine e drammi devastanti non può esserci un happy ending risolutorio di poche pagine. Il lettore seppur commosso dalle vicende che si susseguono nelle ultime cento pagine, rimane smarrito da una simile svolta “buonista” e istantanea che viene giustificata solo dal diario di Patty: nel libro in quel punto è bene ricordarlo c’è un salto temporale di sei anni. E ci si chiede davvero, ok che abbiamo analizzato insieme ogni forma di libertà e coercizione, ok che abbiamo parlato di ambientalismo e di politica, ok che abbiamo analizzato per filo e per segno le vicende delle famiglie originarie di Walter e Patty, che abbiamo condiviso le avventure e disavventure di ogni singolo personaggio Berglund (Joey è sicuramente il personaggio più interessante all’interno dell’intero romanzo, quello capace di incarnare il sogno americano al 100%, quello che sa gestire meglio la Libertà che fregia la bandiera degli Stati Uniti), ma da Franzen mi sarei aspettata qualcosa in più dopo 600 pagine… Resta indiscutibilmente una bella lettura, sia chiaro. Esilarante la vicenda del gattino Bobby…
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