Dettagli Recensione
Affossato dallo stile
Sasenka ha la drammaticità dello scorrere del tempo, e non è quella del lineare fluire dei secondi che passano al muoversi della lancetta di un orologio, ma quella statica di chi osserva il passato consapevolmente, conscio di quel che è accaduto e di quel che sta per accadere. E questa drammaticità nel romanzo è essenziale poiché rende l'attesa degli eventi che vanno dalla rivoluzione Russa alla seconda guerra mondiale un elemento portante (nonché l'unico degno di nota) dell'architettura del romanzo.
Gli episodi storici sono noti, così come quelli politici, la tragicità della folle escalation di quel movimento che era nato come sommossa popolare e che si era trasformato man mano in dittatura è infatti ormai ben definito; ciò che rimane in ombra, nascosto, forse solo intuibile è come fossero le persone all'epoca: gli uomini, le donne, le famiglie normali, i singoli individui dentro la macchina di una società in tumulto tra due guerre e una rivoluzione civile. E l'intento dell'autore sembra essere proprio quest'ultimo: dipingere un ritratto delle persone normali dell’epoca intrecciate con gli eventi del grande quadro della storia di quegli anni. Per vivificare il dipinto occorre però un esempio, un campione: Sasenka, una ragazza che fin dall'infanzia sembra predestinata ad una vita in bilico tra borghesia e rivoluzione, tra vantaggio personale e bene comune.
Cosa sarebbe accaduto all'Unione Sovietica è noto, cosa accadrà a Sasenka, e come a lei a tutte quelle altre persone di cui lei è l'esemplificazione, invece no ed è qui, nell'incertezza del singolo di fronte alla concretezza dei fatti reali che si costruisce il meccanismo del libro, che si definisce il ritmo della narrazione e che si materializza la tensione dell'attesa di un qual cosa che si è certi stia per accadere; ed è nella fisiologica incertezza di questo meccanismo di contrapposizione che l'autore raggiunge la sua vetta, ed ancora è grazie a questa, grazie al sopracitato dualismo Russia - Sasenka, certo - incerto, che il romanzo si affaccia all'echelon dei vertici letterari.
Peccato però che tutte le 623 pagine del libro siano irrimediabilmente affossate da uno stile di scrittura piatto e banale, buono sì e no per un romanzetto rosa e assolutamente inadatto a rappresentare l'ampia drammaticità del destino dell’Unione Sovietica e di Sasenka. Uno stile così poco efficace che non riesce scalfire il lettore neppure di fronte alla tragica verosimiglianza degli eventi narrati. Una narrazione così insulsa che neppure se al posto di Sasenka fosse scritto il vostro nome riuscireste a reprimere gli sbadigli.
E i picchi della tensione, del dualismo storia-persona che fine fanno? Sono pur sempre delle vette letterarie, no?
Ahimè no: se la base della montagna infatti origina in una voragine anche la cima, per quanto altissima, rimarrà sempre a livello del suolo: bassa, anonima, ineluttabilmente irrilevante come un filo d’erba nella piana prateria dei libri da quattro soldi. E così purtroppo è Sasenka, un libro che aveva le potenzialità per sbocciare diventando un capolavoro d'altri tempi ma che in realtà per colpa dello stile non è niente di più che un filo d'erba tra gli altri.
"Un romanzo sulla scia della grande tradizione dei narratori russi" (o qualcosa del genere), si diceva per promuoverlo…mi chiedo se chi ha inventato questo slogan abbia mai letto “un grande narratore russo della tradizione.”