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Sopravvivenza e scarnificazione
Non c’è speranza , non c’è redenzione, non c’è bellezza, soltanto disperazione. La guerra, fantasma assillante e concreto, assorbe la serenità, avvolge il mondo in un fumo denso, grigio: nel dissolvimento dei colori, la gemellarità, la nitidezza, l’inconciliabilità tingono il mondo del contrasto tra bianco e nero. L’amore non è rosso, non trionfa, anzi, perde miseramente. Ossessioni e demoni si emergono dagli abissi dell’animo a disgregare le mura della razionalità, a tentare di aggrapparsi alla serenità. E se la moneta di cambio è la verità, se il prezzo da pagare è l’invenzione poco importa: nell’ Europa in guerra pensare di vivere è soltanto un’utopia lontana che nemmeno sfiora la mente. L’unico anelito è quello alla sopravvivenza. Nel processo di scarnificazione cui la realtà è sottoposta, la brutale legge della sopravvivenza, l’intuizione di Darwin, si fa paradigma per analizzare il mondo, per difendersi, per riuscire a non soffrire. Scarnificazione delle emozioni, della libertà dell’infanzia, del gioco, dei pranzi pantagruelici, dell’intelligenza.
Non è apatia, non è crudeltà: è logica, pura fredda e solida consequenzialità. Se la guerra fa soffrire, allora è necessario abituarsi al dolore. Se l’uomo è costretto a vivere nella realtà, allora bisogna abituarsi alla verità. Se il mondo tenta di sopraffarti, allora bisogna essere crudeli. È l’intelligenza di due gemelli, lo sguardo penetrante e straordinariamente maturo di due giovani a descrivere la loro lotta in un mondo deserto, sterile. E se Dio è morto, allora bisogna apprendere cosa sia la vera solitudine.
Due gemelli a riscoprire le loro radici, ad inseguire un passato, una ricerca dolorosa in cui gli inganni dell’uomo sono secondi soltanto a quelli della ragione. Nella città di K., nel mondo martoriato da deflagrazioni e pallottole furenti, uomini, donne e bambini e vecchi sono carne da macello: salvezza è l’imperturbabilità, è la furbizia. Soffrire significa soccombere e non conoscere. Nel desolante panorama della città, nessuno è risparmiato e la penna si sofferma con inesausta crudezza su bimbe stuprate da soldati dimentichi del rispetto, su uomini dilaniati dalle mine, sulla follia, su animali impiccati o annegati. La guerra deturpa l’uomo, lo fa regredire alla ferinità.
Al Grande Quaderno (primo capitolo della trilogia) dell’infanzia, si sostituisce “La Prova” della solitudine, in un parossismo crescente che culmina nella vertigine improvvisa di una nuova bugia, “La terza Menzogna”. La linearità della prima parte, le frasi così brevi da morire sotto il fuoco di trincea dei punti fermi, così affilate da ferire per la crudeltà, così abilmente soppesate per colpire là dove la carne è più debole, si sciolgono in un periodare più complesso, ma mai complicato, che mantiene intatta una brutalità inestinguibile. Alla crescita dei gemelli corrispondono pensiero più sofisticati: a prezzo dell’immediatezza iniziale, si acquista profondità. Il delirio del conflitto si ripercuote nello stile convulso: alla prima persona plurale, punto di vista originario, si sostituisce la terza singolare, poi la prima singolare, in un dialogo serrato con un “tu” immaginario con cui il lettore s’identifica. E in questo gioco di sguardi, nella mostra impietosa di umanità che si dispiega nella grottesca risposta alle deflagrazioni, la chiarezza del primo scritto sembra annebbiarsi poco a poco, fino a dissolversi nella confusione dell’ultimo capitolo. Eppure il processo è contrario, alla fine è chiaro, ma ormai è troppo tardi. Lo scorticamento dell’anima che sembrava ormai concluso esige una nuova muta, una nuova metamorfosi nella consapevolezza triste, ma evidente, che l’unica possibile verità è l’inesistenza di una verità assoluta. Non è relativismo, non è nichilismo, ma semplice e pura sopravvivenza. Quando l’uomo raggiunge l’orlo del baratro i dettami morali si palesano in tutta la loro effimera consistenza: non si può giudicare, né si deve farlo. Alla fine la pelle si perde definitivamente a diventare scheletri appesi per l’eternità ad un desiderio morto, privi di difesa di fronte a un mondo che si manifesta in tutta la sua crudeltà.
E alla fine, ben ripensando, qualche dettaglio stilistico, la lieve parabola discendente degli scritti può essere perdonata, ma il primo capitolo rimane il migliore, il più doloroso e magnetico. Il ritmo placido e misurato che anima un mondo altro e nuovo dai confini imprecisati è struttura portante di una favole nera che è come una “marionetta omicida”. Sopravvivere e scarnificare: l’uno l’oggetto, l’altro il soggetto che lo plasma. Tra i due il verbo combattere.
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Commenti
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Rileggendo la recensione mi sono accorto che alcuni passi sono un po' oscuri se non si è letto il libro, ma comunque una volta afferratolo sono sicuro ti piacerà!
PS Pamela si sarebbe trovata molto male a K.!
Pamela è vissuta nel secolo sbagliato: tutti quanti, oltre tutto è stupida (pensa a quanti privilegi potrebbe ottenere con un semplice gesto!). Per dirla con i tragediografi: Ototototoi sventurata :-)
Cosa aspetti? Agota e la sua trilogia DEVE essere letta :)
Avrei dato anche una valutazione più alta se si fosse fermata un po' prima, ma rimane una triloga da leggere, di questo sono convinto nonostante tutto!
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la tua recensione è per me illuminante, in quanto questo romanzo è in lista da diverso tempo ma non mi decido mai ad affrontarlo.....
decisamente interessante