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La favola
Una lunga lettera di papà Jan al figlio di quattro anni, redatta poco prima di morire e volutamente nascosta dallo stesso. Viene trovata casualmente diversi anni dopo dai parenti e consegnata al destinatario ormai quindicenne.
Ma cosa contiene questo scritto? Una favola. Sì ma non una di quelle classiche che inizia con "c'era una volta" e si conclude con il lieto fine "e vissero felici e contenti". E allora di cosa parla? Della meravigliosa favola della vita, dell'esistere qui ed ora, del mistero della creazione, dell'enigma della morte - post morte. Di una ragazza bellissima, di un ragazzo innamorato, di un bambino amato, di una fine inaccettabile. Invita ad osservare ed assaporare perchè il caos quotidiano non permette più di soffermarsi a contemplare la bellezza della natura, dell'esistenza stessa su questa terra. I pensieri sono contaminati dai problemi e ciò che più dovrebbe stupire per la propria grandezza è dato per scontato.
Da dove veniamo e dove andiamo? Questo tormenta e affascina. Jan pone un dilemma a se stesso e lo lascia in eredità a Georg, è giusto venire al mondo, essere protagonisti di una favola (il dono della vita è già di per sè un evento magico ed incredibile) con la certezza dell'uscita di scena, alcuni con applausi ed altri con fischi? Se si potesse scegliere, voi cosa fareste? Alt, non rispondetemi subito, non ditemi che sapreste cosa fare così su due piedi, riflettete, non conoscete il futuro, immaginatelo, preventivate anche le disgrazie, mettetevi, per esempio, nei panni di Jan. Io sinceramente non so ancora decidermi. Lo so, sono domande popolari e storiche, l'uomo si interroga dalla notte dei tempi, ma fa un certo effetto se chi lo chiede è un papà in punto di morte che non si rassegna al proprio crudele destino e il quesito è rivolto al suo bambino, un bambino che cresce senza l'amore paterno, un adolescente che fatica a custodire i ricordi legati ai primi anni di vita con il padre.
Entra in scena, anche se in modo superficiale, la religione. Per i credenti c'è la mano di Dio ovunque, anche oltre la morte, per altri, come per il protagonista, il vuoto assoluto, un buco nero. E' solo fifa e speranza e nient'altro? ("Ma sognare qualcosa di improbabile ha un proprio nome. Lo chiamiamo speranza"). Non lo so, ma Jan forse si sarebbe congedato con sollievo invece che con rabbia e disperazione nutrite fino alla fine.
Una parola racchiude l'essenza di questo libro: commovente. Impossibile non provare tristezza, un nodo in gola difficile da sciogliere. Scritto in modo semplice e scorrevole. Breve ma intenso, si alternano le parole del papà ai commenti del figlio, un tuffo nel passato e un salto nel presente, pensieri adulti e reazioni adolescenziali già mature. In alcuni punti l'autore si prende la liberà di perdersi nei ricordi con Jan, abbandonato il lettore a se stesso, ma poco importa, il risultato non cambia.
Il titolo può forse ingannare ma il contenuto è fedele alle aspettative, non delude. Un saluto a tutti i papà, ovunque siano.
“Comincio a capire perché i fantasmi spesso gemano e ansimino da fare tanta paura. Non è per spaventare i loro successori. È solo perché soffrono indicibilmente a respirare in un’epoca che non è la loro. Non abbiamo soltanto un posto nell’esistenza. Ci viene assegnato uno spazio di tempo fatto su misura per noi”
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Commenti
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Ottima recensione!
Pia
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a me ha lasciato un ottimo ricordo questa lettura e come ho sottolineato ieri in un commento ad un altro romanzo di Gaarder, questo titolo si discosta dal resto della produzione dell'autore ed è appetibile per qualsiasi tipologia di lettore...