Dettagli Recensione
disincantato
Un' indagine avvincente per una storia affascinante, estrema, reale.
La ricerca di se stessi al di fuori di se, prima nella famiglia, poi nello studio e nel lavoro e infine nell' illusorio selvaggio delle terre estreme. Illusorio non tanto per l'effettiva collocazione geografica dell' ultimo viaggio del protagonista quanto per la sua falsa consapevolezza di aver trovato una vita migliore e una più profonda realtà in un luogo che metaforicamente rappresenta la fuga dalla realtà.
Più che un viaggio reale normalmente questo è un viaggio figurato, un viaggio di ribellione che prima o poi tutti i giovani devono affrontare, tuttavia il protagonista, forse più inappagato dei suoi coetanei, più emarginato di loro, lo fa diventare reale e ne paga le conseguenze. Conseguenze drammatiche e forse evitabili, ma analizzando bene le circostanze probabilmente ineluttabili.
E' il dramma del singolo, del suo romantico male di vivere, che si stempera e si diluisce nell'immensità della natura, nella glaciale irremovibilità delle reali contingenze di fronte alle quali i sentimenti contrastanti e lo streben della perenne (ma il più delle volte solo adolescenziale) incomprensione non valgano nulla, ciò che conta nelle terre estreme infatti è soltanto la vita e la morte: se riesci a sopravvivere bene, se no tutto continua, con o senza di te.
Questa potrebbe essere una chiave di lettura della storia, ma dal momento che l’autore (giustamente) non ce ne fornisce una in particolare il dramma dell’ incomprensione potrebbe essere anche interpretato più prosaicamente come un triste fatto di cronaca che ha voluto che un mezzo ingenuotto, e disadattato, facesse un’ultima bravata prima di ritirarsi ad una vita più savia e matura e nel mentre compisse il passo più lungo della gamba. Più cinica, più disincantata, vero, ma non per questo meno realistica.
L’autore come si è detto non fornisce una singola e certa chiave di lettura, ma, come è logico fare in questi casi, si attiene ai fatti e attraverso questi, attraverso le voci di coloro che intervista, le riporta tutte. Ed è questo il punto di forza del libro rispetto al film, il film è troppo romantico, troppo incantato e dalla parte del ragazzo, qui invece no, qui si è di fronte ad un indagine di stampo giornalistico, che se per certi aspetti può apparire persino eccessivamente irriverente e cruda, a differenza della pellicola, può vantare un’incontaminata lucidità ed un perfetto equilibrio.
Non sempre infatti per risolvere i problemi sono utili sensibilità e buoni sentimenti, talvolta, proprio come nelle terre estreme, è più utile la fredda logica e il pragmatismo.
Stilisticamente il saggio (perché di saggio infatti si tratta) tuttavia risente fin troppo del background giornalistico dell'autore e la narrazione talvolta è eccessivamente dettagliata e slegata, come tanti articoli di giornale, ma quando di tanto in tanto la professionalità di Krakauer, in una sorta di contrappasso deontologico, viene sopraffatta dell'intensità della vicenda, allora l’autore da il suo meglio ma, ancora una volta, non tanto perché è empaticamente vicino alle sventure del povero Alex (così voleva essere chiamato), quanto perché anche lui, come tutti, è umanamente partecipe della cieca e brutale casualità dei fatti che hanno portato questa storia al suo inevitabile tragico epilogo; come a dire: in fondo stiamo tutti giocando con la vita ma le regole non le stabiliamo noi.