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Nel segno della pecora
 
Nel segno della pecora 2013-07-13 14:36:55 Todaoda
Voto medio 
 
2.8
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
2.0
Piacevolezza 
 
3.0
Todaoda Opinione inserita da Todaoda    13 Luglio, 2013
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Prima opera?

Un po’ stupidino, un po’ sempliciotto, alle volte eccessivamente manieristico, altre decisamente troppo affettato, nel Segno della Pecora risente di tutti i dubbi, le incertezze e i problemi delle prime opere, (in realtà Murakami ne aveva già scritte altre due ma questa è quella che gli valse la notorietà e i premi come autore emergente) e, per quanto nel testo vi siano inconfutabili indizi della sua abilità narrativa, è evidente che lo stile è ancora grezzo e le opere migliori sono ancora la da venire.
Nella narrazione traspaiono, si intuiscono, già tutti i temi cari all’autore: il surrealismo, l’onirismo, il mondo della percezione e delle sensazioni, l’autocritica, il viaggio nella coscienza dei personaggi, e si respirano già anche le suadenti atmosfere da fantasy urbano, da noir fiabesco (le ultime qui addirittura più accentuate, più affascinanti forse, che in altri lavori successivi) tuttavia sono confinate alla loro stessa esistenza, quasi fini a se stesse e non complementari alla trama, scritte e descritte, cioè, non tanto per aiutare il lettore a creare un quadro di insieme un substrato, psicologico sui cui far evolvere il racconto, ma soltanto perché… è così che si fa, perché fa effetto, perché è così che fanno gli scrittori veri.
E’ questo il fondamentale problema di “Nel segno della pecora”, che si percepisce fin troppo chiaramente che Murakami, qui ancora giovane, anela a diventare uno scrittore vero e per essere riconosciuto come tale è pronto ad andare per la sua strada senza guardare in faccia nessuno anche a costo però di peccare di eccessivo manierismo: l’ironia costruita sul bisogno di ribadirsi anticonvenzionale diventa pesante, lo stesso la riflessione personale che sfiora la pedanteria, lo stesso le ambientazioni che nelle loro descrizioni (per carità, efficacissime) non riescono comunque a sottrarsi alla romantica banalità dei luoghi comuni.
Si potrebbe anche chiudere un occhio di fronte a questi piccoli difetti, focalizzandosi sull’ottimo stile di Murakami semplice e pulito, seppur come già detto ancor grezzo, ma è impossibile lasciar correre sulla faciloneria con cui sembra introdurre argomenti profondi e la fretta con cui sembra poi abbandonarli; l’autore infatti durante la narrazione presenta innumerevoli spunti di riflessione ma in quattro e quattr’otto poi li sommerge nascondendoli in zone oscure del subconscio dei protagonisti, relegandoli agli inspiegabili misteri della mente umana, o ancor peggio ai misteri del mondo. Troppo facile, troppo scontato!
E vien da pensare che questi accenni disseminati ad arte qua e la nel libro non siano rimandi alla filosofia dell’autore, e vien da pensare che non siano fini suggerimenti che ci inducono ad aprire la mente al cospetto di una realtà sensoriale, transitoria e impalpabile, ma semplicemente dei temi comuni scarsamente approfonditi, scarsamente compresi, e per questo trattati con dozzinale superficialità.
Nel Segno della Pecora, chiariamoci, non è un brutto libro, ma è una sorta di prima opera e come tale pur contenendo in se i semi, anzi i germogli, di quelle che saranno le grandi opere dell’autore da queste si discosta notevolmente per eccessiva fatuità, ingenuità, e talvolta, come s’è visto, fretta.
Un libretto leggero, che si lascia leggere, e anche volentieri ad onor del vero, ma niente di più che una prima opera, proprio niente di più.

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