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Everyman
 
Everyman 2013-07-12 11:36:08 Todaoda
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Todaoda Opinione inserita da Todaoda    12 Luglio, 2013
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Brillante ma funereo

Che cos’è la morte? Dal momento che è l’argomento su cui verte Everyman (come al solito sempre allegrissimo Philip Roth!) e dal momento che bene o male è lui stesso durante la narrazione a porsi e a porci la domanda, mi sembra lecito che venga ripetuta e mi sembra anche lecito che ci si ragioni un po’ su, almeno quel tanto che basta per farsi un’idea di fondo se l’autore con il suo libro abbia c’entrato l’obbiettivo e sia giunto a una conclusione coerente oppure se abbia eccessivamente divagato allontanandosi dal sentiero tracciato dalla sua domanda, così banale eppure così essenziale. Approposito, parlando di divagazioni eccessive, se non siete (giustamente) interessati alle prolisse elucubrazioni mentali del sottoscritto su un così funereo argomento potete saltare direttamente al quinto paragrafo (o pressapoco, quello che per intenderci inizia con: "Va bene ma allora che cos'è?"). Se al contrario mossi da subitanei istinti masochistici foste interessati si può procedere!
Dunque, che cos’è la morte?
Qualcuno potrebbe definirla come il contrario della vita, tutto ciò che non è vita. Vero, forse però sarebbe un po’ troppo semplice, qualcuno allora potrebbe interpretarla come la cessazione di tutto, quell’evento , quel “fastidioso imprevisto”, che una volta verificatosi tutto smette di esistere: il sig. Rossi è morto dunque ha smesso di esistere, le sue funzioni vitali sono cessate e dunque non è più vivo. Vero anche questo, forse però ancora una volta troppo limitato, già poiché se è vero che una cosa finché non la si sperimenta non la si conosce fino in fondo, è altrettanto vero che la natura burlona nel nostro caso non ci accorda la possibilità di tornare a riferire cosa si prova e in cosa consista una volta sperimentata (…o almeno si spera!) Di fatto dunque le nostre sono solo illazioni, ipotesi, nient’altro che immaginazione, e, immaginazione per immaginazione, allora perché non dare peso anche all’interpretazione del credente, del religioso, di colui che affida a un ordine superiore delle cose la sua stessa vita? Perché non credere che ci sia dell’altro oltre la morte? Perfino l’ateo, l’agnostico, almeno per onestà intellettuale non dovrebbero escludere ogni eventualità a priori, no? Dunque che cos’è è la morte per il credente? Per i cristiani è il passaggio che permette all’uomo di ricongiungersi con Dio, o suppergiù, e simile deve essere anche per coloro che osservano le altre religioni, qui ammetto la mia ignoranza, tuttavia di per certo so che alcuni credono addirittura che non esista una sola morte, ma tante, tante quante le vite in cui ogni volta ci si reincarna, certo, per il medesimo principio di onestà intellettuale citato prima, in quest’ultimo caso verrebbe da obbiettare che allora non si tratterebbe di vera e propria morte, di una cessazione totale, ma in fondo chi da valore alle parole, ai concetti, se non l’uomo stesso? Chi ne valuta, stima o attribuisce il peso se non le persone stesse? E dunque perché considerare la morte esclusivamente come la totale cessazione del singolo essere e non come una delle centinaia di cessazioni delle centinaia di possibili esseri?
Altre ipotesi e illazioni che rischiano di far impelagare il discorso tra gli intricati istmi della teologia e della filosofia, discorsi anche dotti ed eruditi se si vuole ma che non portano mai a nulla, e che il più delle volte vengono liquidati dalla brava gente con qualche sorta di gesto scaramantico. Comprensibile, la vita è qualcosa sempre di estremamente concreto e non si ha mai troppo tempo di pensare a queste cose se non al “momento buono.” E quando arriva quel momento non c’è logica o riflessione che tenga, solo paura, superstizione o per i più fortunati fede, dunque è logico non starci troppo a pensare finché siam vivi, come è logico lasciarsi prendere dal “non è vero ma ci credo” e scaricarsi la coscienza con qualche scongiuro, del resto cosa c’è di peggiore e più temuto della morte? Avanti confessate: quanti di quelli che hanno letto fin’ora questa recensione non si sono ancora strizzati i gioielli di famiglia? E quanti di quelli che hanno letto Everyman non si sono prodotti nel sopracitato gesto almeno una volta. Siate sinceri!
Dunque è logico, naturale, non pensarci troppo, non farci troppo caso e talvolta sdrammatizzare, logico… ma non per Philp Roth, lui in fatti in questo libro ci ragiona parecchio sulla morte, e vuoi (ahimè) per una questione anagrafica, vuoi per una sorta di deontologia personale talvolta troppo coincidente con la deformazione professionale, non riesce proprio a sdrammatizzare.
Quindi resta il dubbio, a noi e a lui: che cos’è la morte?
Meglio mantenersi sul semplice nel nostro caso, noi non siamo dei Philip Roth, tuttavia ci sono altre due interpretazioni che mi par doveroso aggiungere poiché fondamentalmente legate al messaggio del romanzo, la prima è quella dell’ottimista o del giovane ragazzo: la morte è qualcosa che accadrà in futuro ma che grazie a Dio è ancora lontana e dunque appunto è inutile pensarci; la seconda è quella del pessimista o dell’anziano: la morte è quell’ estrema inevitabilità a cui si incomincia a correre incontro non appena nasciamo.
Va bene ma allora che cos’è? Il buon Roth in Everyman ce lo spiega?
In un certo senso sì, per lui infatti è tutto ciò che ha a che vedere con la vita, è qualcosa di inscindibile da essa, vuoi che venga interpretata attraverso la coscienza del giovinetto che non ha tempo di pensarci se non attraverso il contatto esterno qual’ora venga rinvenuto un cadavere sulla spiaggia dove è solito andare a giocare, vuoi che venga interpretata attraverso gli occhi del medesimo giovinetto ormai adulto, cresciuto, anziano, che ha vissuto la sua vita, è venuto più volte in contatto con la morte attraverso le perdite dei suoi cari e ora, da li a qualche giorno, mese, massimo anno sa che inevitabilmente toccherà anche a lui.
Deprimente, triste, già, ma anche reale, vero e inevitabile, come inevitabile è ragionarci su più volte nel corso della propria esistenza, come inevitabile talvolta è illudersi di averla scampata, come inevitabile talvolta è farsi abbattere dalla sua cieca brutalità.
E quale occasione migliore per non riflettere sulla morte se non al funerale di un uomo? Pensa Roth. Quale situazione migliore? O ancora meglio: quale incipit migliore per un libro se non partire proprio da quella che agli occhi di tutti è comunemente riconosciuta come la fine estrema? Tutto questo è Everyman.
Ma il romanzo di Roth non è un libro solo sulla morte, lo stesso titolo ce lo suggerisce, certo ovvio se ne tratta, e anche abbondantemente, ma parlandone di riflesso è anche un libro sulla vita, sulla vita di un’ uomo qualunque e di ogni uomo, poiché di fatto una volta passati a fil di lama di quella grande uniformatrice che è la vecchia con la falce, siamo tutti uguali, siamo tutti identici e di noi nulla rimane se non quel che appunto siamo stati, la vita che abbiamo vissuto e come l’abbiamo vissuta. Dunque Everyman è anche un libro sulla vita, sui doverosi quanto banali ricordi dei parenti del defunto che partecipano al funerale, e sugli originali ricordi del defunto stesso che, con uno stratagemma concepibile solo in una sorta di surrealtà letteraria, ci racconta in una non ben precisata ultradimensione conicidente con quella del narratore assoluto, con quella di Roth, ci racconta dei suoi momenti di gloria e dei suoi momenti di infamia, di quanto di bello gli sia accaduto e di quanto di triste gli sia successo fino ad arrivare al culmine, al limite, dove la trasmigrazione dell’io narrante si fonde nella voce dell’autore che compie le sue riflessioni e poco dopo fa morire/muore il protagonista.
(Non è uno spoiler, se la scena d’apertura del romanzo è il funerale del protagonista è abbastanza prevedibile capire come vada a finire…)
E sono ricordi interessanti quelli di questo “Fu protagonista”, comuni, canonici, ma interessanti come le riflessioni, che in accordo con le rievocazioni, spaziano lungo tutto l’arco della sua vita; in questi si intravedono aspirazioni, desideri, piaceri, paure, rimpianti e dolori, ognuno particolare eppure ognuno normale: e se da bambino avessero sbagliato ad operarmi di appendicite?, se da giovane non avessi scelto quel lavoro?, se da adulto non avessi mollato mia moglie e non mi fossi risposato? E se ora da anziano mi trasferissi sulla costa?
Domande banali, verrebbe da pensare, eppure fondamentali nel corso di un esistenza, nel corso della propria esistenza, poiché sono quelle che definiscono una vita, poiché sono quelle che esemplificano la coscienza individuale, poiché nel romanzo traendo dal quotidiano acquistano la forza della realtà e sottraendo linfa alle reminiscenze di una vita si elevano a simboli del vivere stesso, al vivere di ogni uomo, appunto di Everyman.
E particolarmente ispirata è qui anche la narrazione di Roth, che raggiunge vette di incommensurabile tristezza pareggiate soltanto dalla splendente lucidità della sua riflessione, vette di potente angoscia (leggasi per esempio la descrizione dell’intervento chirurgico in anestesia locale) equiparabili solo alla purezza che l’autore riesce a conferire al potere della conoscenza, forse unico germoglio di salvifica consolazione per il protagonista, (leggasi per esempio “l’aneddoto” del becchino allorché descrive dettagliatamente il proprio lavoro ad un protagonista avido come non mai di conoscerne i particolari.) Una narrazione dunque viva ed incalzante, come solo può essere lo scorrere del tempo, come solo può essere la vita qual’ora ci si renda conto di esserne arrivati agli sgoccioli, e tuttavia una narrazione che potrebbe essere definita (o forse sarebbe meglio dire percepita) come l’ unico neo di un’ opera altrimenti perfetta.
Di fatti, malgrado tutto, è innegabile che lo stile con cui è scritto Everyman in diversi punti potrebbe essere chiamato in causa come prova dell’evidente eccessivo coinvolgimento dell’autore stesso nel suo romanzo: se il suo obbiettivo era quello di dipingere un quadro realistico della vita di un uomo, piuttosto che rappresentarne l’evoluzione della coscienza lungo il corso degli anni, sarebbe stato auspicabile un tono più distaccato, che conferisse identico peso e valore sia agli anni della giovinezza del protagonista, che a quelli della maturità, che a quelli della senilità e dunque che non fosse nettamente sbilanciato verso quest’ultima, ricca di nostalgici e deprimenti considerazioni; sarebbe stato auspicabile all’inizio uno stile che, traendo dalla istintiva vitalità della gioventù e dalla adulta consapevolezza della maturità, riuscisse a descrivere un’ esistenza in maniera più equilibrata. Tuttavia occorre ricordare, e anche realizzare, che è impossibile disgiungere la coscienza di un essere dalla sua stessa esistenza poiché l’una è il diretto prodotto dell’altra e viceversa, poiché l’evoluzione di una coscienza è quanto mai una delle principali caratteristiche dell’evoluzione di un esistenza e dunque anche i pensieri della giovinezza (e così le loro descrizioni) al limitare della vita del protagonista non possono essere che vissuti attraverso gli occhi nostalgici di colui che sa che ormai si tratta di tempi ormai lontani, poiché Roth stesso, anche lui non più esattamente un giovincello, non può esimersi dal far ricadere le sue attuali considerazioni personali raccontando di un uomo qualunque, alla luce della potenza parificatrice a cui neppure lui è esente, ovvero la morte, alla luce di quella potente e onnicomprensiva definizione dell’esistenza umana a cui neppure lui può sottrarsi, ovvero “Everyman.”
Un romanzo insomma convenzionale eppure, nel suo singolarissimo modo, particolare, che racconta di una storia comune eppure, eppure nella sua singolarissima eccezione, originale e la racconta con uno stile sbilanciato e tetro, eppure nella sua singolarissima universalità, lucido e vitale.
E una volta letto, tutti a fare scongiuri!

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Consigliato a chi ha letto...
Altri romanzi di Roth e molta narrativa (impegnata) contemporanea
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Commenti

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In genere non leggo le recensioni così lunghe ....ma un Rothiano che si immedesima come hai fatto tu meritava, sembravi l'alterego di Zuckerman :D
In risposta ad un precedente commento
Todaoda
13 Luglio, 2013
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:-)
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