Dettagli Recensione
C’era una volta...
...una principessa indiana di nome Draupadi.
Sono da sempre affascinata da quella straordinaria e poliedrica nazione che è l’India. Il suo popolo, i suoi colori, le sue tradizioni (e opposizioni) , i suoi riti e i suoi odori talmente diversi dai nostri hanno da sempre avuto su di me quel fascino “orientale” cui non posso resistere.
E poi c’è il Taj Mahal. Un’opera architettonica che da sempre mi affascina per la sua straordinaria bellezza e per il fatto che essa rappresenti una “imponente” espressione di amore. Essa infatti fu fatta costruire, per ordine dal sovrano Shah Jahan, alla morte della moglie preferita Arjumand Banu Begum. Il Taj Mahal, infatti, non è altro che un mausoleo, eretto per custodire meravigliosamente le spoglie della persona amata.
Il titolo di questo romanzo che rimanda un ai meravigliosi palazzi indiani e la sua trama che intreccia mito e leggenda non potevano mancare tra le mie lettura.
L’autrice di questo romanzo ha voluto riscrivere, secondo la propria immaginazione, parte delle vicende narrate dal Mahabarata, un’antica opera indiana che narra la vita e le vicende di eroi e dei indiani.
Il racconto di queste vicende viene fatto attraverso gli occhi di una donna, di una principessa, Draupadi. Come scrive la stessa autrice la scelta di una voce narrante femminile è stata fatta per dare forza e dignità alle donne che proprio nel vecchio poema sono relegate a figure secondarie. In questo romanzo invece, la principessa è la “regina” incontrastata di ogni vicenda. Attorno a lei ruotano tutte le vicende e lei stessa si rende fautrice del destino di tanti uomini. Sicuramente l’autrice ha voluto dare estrema forza a questa figura femminile, attribuendole una serie di libertà che, purtroppo, tutt’ora in India molte donne non hanno. Risulta infatti preponderante in questo contesto la forza estrema di questa principessa.
Draupadi sposerà cinque uomini, cinque fratelli, ma il suo cuore apparterrà per sempre a Karna e perfino il dio- uomo Krishna giocherà un ruolo importantissimo nella sua vita. Ogni vicenda di questo romanzo intreccia prepotentemente realtà a fantasia, mito e leggenda.
Lo stesso titolo di questa opera porta il nome di ciò che è racchiuso in questo romanzo; un’illusione. La continua difficoltà a cernere fantasia a realtà. Rendere la favola una possibile realtà, un’illusione che coglie solo chi racchiude ancora dentro di se la forza e la capacità di sognare.
L’amore svolge un ruolo fondamentale in tutta la vicenda. Ma come un buon film di Bollywood ha avvertito la pesantezza di questo romanzo. Credo sia tipico della tradizione indiana costruire opere (a vasto raggio) importanti, che esplorino fin nei più piccoli meandri ogni particolare (il Taj Mahal ne è la dimostrazione lampante). Ma la pesantezza di questo romanzo non è stata tanto nella sua lunghezza di pagine(in fondo sono poco più di 300), ma nel fatto che molti concetti vengono ripetuti tantissime volte mentre altri vengono appena sfiorati. Purtroppo perfino i tanti nomi dei personaggi che tessono questa vicenda sono difficili da ricordare, anche sicuramente per il fatto che i nomi stranieri sono sempre per me più difficili da memorizzare.
Nel complesso non mi sento di sconsigliare questo romanzo anche perché assai pregno perfino di filosofia e teologia induista. L’unico accorgimento è quello di cominciare la lettura con lo “spirito” giusto e calma interiore….giusto per rimanere in tema. Buona lettura
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Commenti
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Che onore per te avere ricevuto in dono questo nome, ancora una volta il "fato" ha agito con destrezza :-)
Mi dici delle cose che per me sono un'iniezione di gioia.
Grazie.
Pia
Peccato per questo titolo, poteva essere affascinante...
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Infatuata ai tempi delle medie di Kabir Bedy...attratta dallo spirito meditativo...e poi da quando un'amica indiana mi ha detto che pia in India significa amore...ancor di più!
Ciaooo Pia.