Dettagli Recensione
la scimmia che piange
Il libro ha un incipit memorabile, stupendo: un soldato-ragazzino appena diciottenne entra pieno di paura nella giungla per cacciare il cinghiale, si aggira tra nemici in agguato, serpenti, animali feroci nascosti tra alberi e foglie e spara a una scimmia. Poi pentito prende in braccio la scimmia morente che piange lacrime umane. L'inizio del libro e le prime centinaia di pagine sono di una bellezza straordinaria. I personaggi pieni di idee e di dubbi, complessi, anche se di una complessità in un certo senso simile e omogenea tra loro. Tutto è interessante anche quello che si capisce meno come la figura del prete e il suo omicidio.
Tutti i personaggi sono presentati dando l'idea di un'apertura mentale straordinaria. Interessante anche la capacità dell'autore di cogliere lo spirito dei diversi popoli e di renderlo per farlo comprendere al lettore. In questo si coglie il fatto che l'autore è un viaggiatore e conosce a fondo quei popoli e il loro modo di pensare e di sentire il mondo.
Detto questo, e detto anche che vale la pena di leggere e rileggere il libro per le prime due, trecento pagine, devo anche dire che poi la narrazione si appiattisce e così anche i personaggi. Il libro diventa un classico racconto di guerra con dialoghi a base di poche parole rituali che tutti possono immaginare, con interesse che si focalizza sulla donna e in particolare su una limitata porzione anatomica della donna, sul fumo e sul bere. C'è un senso di solidarietà con i superiori e un odio viscerale acritico contro il nemico. C'è un lento adeguarsi a uno spirito pienamente americano pur mantenendo un leggero distacco ma non tutta quell'apertura mentale lasciata intravedere all'inizio della storia.
Il fantasma di G. Bush J. e anche quello più machiavellico di Nixon piombano sul libro appesantendolo. La storia si avvicina a un racconto di guerra che richiama i tanti film sul tema in particolare quelli americani e poi diventa una storia di spie con tanto di riflessione sulla funzione dei servizi segreti il cui obiettivo (l'albero di fumo appunto) deve essere e restare il fornire informazioni senza cadere nella tentazione di manipolarle. Sinceramente la tresca spionistica con tutti quei soldati americani ognuno dei quali non si capisce per chi lavora e con chi è alleato e soprattutto a quale scopo l'ho trovata piuttosto pesante e troppo ingarbugliata e confusa. Mi sembra che l'autore stesso perda il bandolo di senso della storia in un contorcimento, in un tentativo di manipolare o gestire o usare l'informazione reso bene dal titolo del libro: l'albero di fumo, una fitta nebbia in cui tutto diventa indistinguibile e incomprensibile e, temo, non solo al lettore. Onnipresente il richiamo all'americano tranquillo, opera ben più riuscita in quanto scritta da un grandissimo scrittore e vero agente segreto.
Qua l'albero di fumo appanna la comprensione di ogni cosa e svia verso una fumosità machiavellica quello che all'inizio del libro era una fumosità dell'anima. Il libro sarebbe riuscito meglio con un albero di Giuda anzichè di fumo cercando meglio nei meandri della guerra le ragioni di entrambe le parti, cosa che l'autore avrebbe potuto fare meglio sfruttando la sua conoscenza della gente del posto.
Invece si ricade in una acritica difesa delle ragioni americane contro il comunismo nord vietnamita, conclusione che mi sta anche bene ma che mi sarebbe piaciuto vedere messa in discussione di più nel testo.
Comunque sottolineo ancora che l'inizio del libro è uno dei più belli che abbia mai letto e che il libro sicuramente merita per le sue prime meravigliose pagine.
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Commenti
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Io faccio un pò fatica a perdonare chi spara e poi si pente...e ora rimango con l'immagine della povera scimmia morente...perchè non pensarci prima di ammazzare???
...è il mio semplice pensiero...
Pia