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L'arte del mediare
Sebbene E.M. Forster non compaia spesso nel novero olimpico dei grandi romanzieri, produttori dei cosiddetti “classici”, dopo aver letto “Casa Howard” mi sento di considerarlo concretamente e con cognizione di causa alla stregua dei colleghi più incensati. Questo romanzo infatti, molto noto ma poco celebrato, non solo è, a parer mio, un grande classico con tutti i crismi, ma lo è anche in modo straordinariamente originale, sia per il lessico e le modalità narrative, sia per le tematiche, che si discostano da quelle costantemente indagate dagli autori a cavallo tra i due secoli (XIX e XX).
Personaggi principali delle vicende sono due famiglie, da un lato quella degli Schlegel, dall’altro quella dei Wilcox. Benché la prima sia composta da due giovani sorelle nubili e dal loro fratello adolescente, il fatto che Forster ce li presenti in una luce paritaria a quella del nucleo familiare convenzionale ci dà già la misura della modernità di vedute dell’autore. Modernità che verrà confermata in seguito, negli sviluppi del filo narrativo, e che rifugge quelle convenzioni morali imposte dalla società tardo-vittoriana, tante volte protagoniste del romanzo ottocentesco. “Casa Howard” in questo senso respira a pieni polmoni, libero da corpetti ideologici, libero di seguire l’avvicendarsi di queste due giovani sorelle Schlegel, la maggiore Margaret, la minore Helen. Due personaggi molto sentiti, molto peculiari nel loro approcciarsi alla vita in modo istintivo, istrionico, creativo e in parte utopico. Una caratteristica questa che, particolarmente in Helen, porterà ad instaurare un complicatissimo intreccio con la famiglia Wilcox. Questa funge da controparte più tradizionale in un gioco delle parti destinato a protrarsi fino a inaspettate conclusioni. La scintilla che tutto fa nascere non è altro che un piccolo scandalo familiare, che scoppia quando Helen, in visita alla famiglia Wilcox nella splendida casa padronale denominata, appunto, Casa Howard, si abbandona ad un innocente, sconsiderato bacio con il figlio minore degli anfitrioni, Paul. Da questo momento in poi i rapporti tra le sorelle Schlegel e i Wilcox si stringeranno in una spirale incontrollata che vede un’alternanza di sospetti, favori, amicizie e apparenze. Si scoprono personaggi fumosi, come la signora Wilcox, donna assolutamente priva di interessi, dedita solamente alla cura maniaco/sentimentale di quella Casa Howard con il suo babelico olmo. Quest’ultimo funge da unico protettore di una realtà di vita, quella sognante, possibile solamente in quella casa apparentemente immersa nella campagna inglese, sebbene poco distante dalle incedenti periferie londinesi. Ed è proprio la signora Wilcox che aprirà alle sorelle Schlegel le porte affacciate sulla complessa struttura della famiglia. Margaret penetrerà in questo mondo molto a fondo, scoprendone ipocrisie, menzogne e virtù. Scoprendo la necessità di avere un luogo da chiamare casa, un luogo fisso e ben radicato, andando controcorrente rispetto alla tendenza del ceto medio/alto di spostarsi in continuazione da una ricca residenza all’altra, perdendo ogni volta qualcosa di sé. Scoprendo inoltre quanto Casa Howard, amata e detestata a un tempo, abbandonata e poi ripresa, diventi il simbolo più calzante delle contraddizioni umane, delle diversità caratteriali e delle divergenze di opinioni. Quelle stesse che ci creano infiniti dispiaceri da un lato, ma che dall’altro, mettendo alla prova la durezza dei rapporti, ci colorano una vita altrimenti monotona, piena solo di condiscendenza e di falsi umori. Quelle diversità che Margaret stessa dovrà tentare di conciliare per mantenere il rispetto di se stessa e della libertà intellettuale che la accomuna alla sorella, contrapposta all’ottusa condotta raziocinante del signor Wilcox e dei figli a carico.
Quello che Forster tenta di mostrare al lettore è forse una lezione universale che ci insegna le virtù della mediazione. Non una mediazione qualunquista e indolente, ma una mediazione attiva che deve servire a preservare ciò che c’è di buono nel proprio carattere e ad apprezzare quello degli altri nonostante le diversità di pensiero e di comportamento. Ci insegna forse a trovare un equilibrio che metta il rispetto e la tolleranza al primo posto, garantendo, alla fine di ogni doloroso periodo della nostra vita, una pace benefica e ricostituente. Se veramente il messaggio propugna la necessità del perdono e della rinascita, scevro da leziosaggini e da accezioni pseudo-religiose, credo che non ci resti altro che apprezzare questo romanzo e tenere in considerazione questo potente faro intellettuale capace di dipanare le più complicate contraddizioni di noi stessi in rapporto al prossimo. Come sempre, ringraziando ossequiosamente.
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complimenti Francesco!
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