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L'uomo che voleva essere soltanto Kees Popinga
CONTIENE SPOILER
Kees Popinga è un uomo come tanti altri, con una famiglia e una casa come tante altre (anche se un po’ meno originali, e un po’ più “decorose”): insomma, l’emblema del conformismo odierno. Ma quando osserva rapito i treni della notte, che abbandonano Groninga per correre verso l’ignoto, si rende conto di volere qualcosa di più.
Inaspettatamente, è Julius de Coster junior, il padrone dell’azienda dove lavora, a offrirgli l’occasione di cambiare vita: gli confida (decisamente “allegro” per qualche bicchiere di troppo) che la ditta è fallita, e che simulerà il suicidio per non rispondere delle colpe e poter fuggire all’estero. Popinga, perso così il lavoro (uno dei punti saldi della sua monocorde esistenza), non si fa prendere dallo sconforto, ma anzi coglie al volo l’occasione e sale a bordo di una delle tanto agognate locomotive.
Prima destinazione: Amsterdam, da Pamela, la prostituta “riservata” di de Coster, che Kees vede come passaggio obbligato dalla sua vecchia alla nuova identità. Non ha però calcolato la sarcastica risata con cui la donna lo rifiuta e, sconvolto dalla rabbia, la strangola con un asciugamano: verrà a sapere che è morta (e non tramortita come crede, o si impone di credere) solo a Parigi, dagli articoli che su tutti i giornali lo definiscono un pazzo e temibile assassino.
Complice una foto segnaletica sgranata, e dunque inservibile, il nostro uomo può tranquillamente aggirarsi per le vie della capitale francese senza essere riconosciuto, ma si renderà conto di dover prendere precauzioni sempre maggiori, visto il cerchio che il “misterioso” commissario Lucas sta stringendo intorno a lui. Nelle numerose peripezie che popolano le pagine di questo romanzo, Popinga incapperà in nuove prostitute, più o meno belle e degne di attenzione, in bande criminali, in cenoni di Natale e Capodanno con finali (forse) tragici, ma quello che più animerà il personaggio sarà qualcos’altro: togliersi di dosso le numerose opinioni che il mondo ha di lui. È proprio per far capire agli altri che è diverso da come lo vedono, che abbandona il tranquillo nucleo familiare (di cui poi inizierà ad avvertire nostalgia): ma entrando a contatto con persone sempre nuove, e diventando oggetto dell’interesse giornalistico, i giudizi sul suo conto si moltiplicheranno esponenzialmente, e allora il “satiro di Amsterdam” tenterà in tutti i modi di togliersi di dosso ogni parere esterno, fino a voler scomparire del tutto agli occhi del mondo.
Simenon ci regala il ritratto di un uomo all’apparenza “normale” che, vedendo sgretolarsi la sua realtà quotidiana, decide di andare incontro alla sorte: una sorte avversa, la quale lo porta a divenire un pazzo omicida agli occhi del mondo (e non è forse additato come “strano” chi, oggi, decide di non seguire la massa?). E così, ogni suo gesto, ogni suo comportamento, viene letto in un certo modo, interpretato come un segno della sua anima “maledetta”; ma il protagonista sa di essere superiore a tutte le considerazioni altrui, e cerca in ogni modo di manifestarlo (con una notevole sagacia, sfidando perfino le autorità). Alla fine, si sentirà però schiacciato dalla consapevolezza che nessuno potrà mai accoglierlo semplicemente come Kees Popinga (invece di volerlo a tutti i costi “inquadrare”), e vedrà precipitare gli eventi fino all’epilogo, peraltro prevedibile fin dall’inizio.
È interessantissima l’evoluzione psicologica del personaggio, che caratterizza tutto il romanzo (e fa passare nettamente in secondo piano sia le altre figure, sia le ambientazioni); ed è a mio parere da notare che già il titolo, “L’uomo che guardava passare i treni”, sia una delle definizioni di se stesso da cui Popinga sente il perenne bisogno di rifuggire.
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Bravissima !
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Pia