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Le rane di Mo Yan (premio Nobel 2012)
“Le rane” di Mo Yan è un’opera di grande spessore, sia come contenuto che come struttura. Da un punto di vista strettamente letterario, l’autore fonde il romanzo epistolare con la narrazione in prima persona - dove l’io narrante è personaggio e testimone dei fatti narrati - con l’esperimento del dramma in nove atti.
La storia che vede protagonista la ginecologa Wan Xin, di cui ora si esalta la nobile missione di favorire le nascite nella fase iniziale della sua attività, e poi si condanna piuttosto palesemente la fanatica adesione ai principi del partito che le impongono di effettuare aborti e vasectomie allo scopo di realizzare uno scrupoloso controllo delle nascite, è il mezzo per portare avanti una critica sentita nei confronti di quei regimi totalitari che all’educazione preferiscono la repressione, più rapida e più semplice da mettere in atto.
Un romanzo il cui tema della vita si alterna con quello della morte. Eppure in regimi in cui diventa reato il diritto di avere un’opinione diversa da quella della classe dirigente, talvolta l’individuo riesce a conservare e rivelare una coscienza e a manifestarla in una forma più o meno efficace di obiezione e ribellione alla massificazione intellettuale: ciò, tuttavia, spesso a prezzo della vita, come nel caso di Wang Remnei e di Wang Dan.
Con il passare del tempo, anche la coscienza di Wan Xin, la zia ginecologa, si risveglia e si dibatte tra incubi e visioni di rane gracidanti, che rappresentano le migliaia di aborti che non hanno potuto vedere la luce e il cui vagito è simile al verso degli anfibi. Questo diviene una sorta di coro sinistro che accompagna la vita dell’anziana donna. La scelta della rana non è casuale, poiché essa è simile nella struttura fisica alla donna e perché il girino, da cui essa nasce è del tutto somigliante allo spermatozoo. Da qui la scelta del soprannome della voce narrante Girino, che diviene quasi il simbolo della procreazione.
Non sono pochi i riferimenti ai classici antichi e alle grandi opere più moderne che si riscontrano in questo romanzo. Lo stesso titolo “Le rane” ricorda, sia pure con le evidenti differenze, l’omonima commedia di Aristofane in cui l’autore esprime una critica ai vizi e ai mali della società, creando una vera opera politica.
Nell’epistola d’inizio, inoltre, il narratore dichiara apertamente d’avere l’ambizione di scrivere un’opera grande come quella di Sartre e cita “Le mosche”, il cui tema verte sulla libertà come responsabilità e impegno e “Le mani sporche”, in cui si denuncia il conflitto tra idealismo e realismo in politica.
Alla luce di queste considerazioni, l’ultima parte del romanzo è costruita in forma di dramma, in cui si riassume tutta la vicenda, con una scenografia teatrale e il dialogo tra i personaggi. La conclusione, tuttavia, non vede il trionfo della verità, ma il prosieguo della mistificazione, quasi un pessimistico presagio per il mondo di domani.
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