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Alla ricerca del figlio perduto
Alla vigilia della seconda guerra mondiale Hillary, un poeta e ufficiale inglese, conosce e ama a Parigi Lisa, una profuga ebrea polacca, i cui genitori sono stati uccisi in Russia nel 1917. Si sposano e hanno un bimbo che il padre vede solo per qualche ora il giorno prima che la Francia venga invasa.
Hillary e Lisa, nella convinzione che il paese riuscirà a opporsi al nemico, si dividono: lui va in Inghilterra a compiere il suo dovere di militare, lei e il piccolo restano a Parigi.
I fatti, come noto, non andranno così.
Hillary viene a sapere da un amico francese che Lisa, agente della resistenza, è stata uccisa e che prima di morire ha affidato il bambino a Jeanne, moglie appunto di questo amico. Jeanne, prima di essere arrestata (milita anche lei nella resistenza) affida il piccolo a un prete cattolico e poi non si sa più nulla.
Terminata la guerra, Hillary ritorna a Parigi, perché Pierre, l'amico francese, gli ha fatto sapere che forse ci sono delle tracce per poter ritrovare il bambino.
Le ricerche, in una Francia postbellica descritta mirabilmente, portano il padre in un misero orfanotrofio nel nord del paese, dove esiste una creatura che potrebbe essere suo figlio.
Già, ma come riconoscerlo? Il dramma interiore di Hillary, nell'incertezza, nel travaglio dell'anima, nonché la pietà dell'adulto verso l'innocenza, sono delle pagine di una bellezza unica. Il romanzo, del resto, è scritto in punta di penna, con un rispetto per i sentimenti e gli avvenimenti che lo pone al di fuori di certe ricostruzioni di maniera. I personaggi sono tutti ben delineati, con un affetto tenero, ma garbato; indimenticabile è poi la figura del prete cattolico che salva i bambini ebrei nascondendoli nella cesta della biancheria della sua lavandaia.
Un romanzo ricco di sentimenti e di emozioni così difficili da trovare nei libri della nostra epoca.
Da leggere, sicuramente.