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Non avrò più paura
Questa è la storia di un diario atipico, il diario di un corpo, meccanismo ad orologeria per eccellenza, e di un fermo proposito: “Non avrò più paura”.
Un punto di vista, quello del corpo, “radicalmente diverso”, prima di tutto perché non mente mai, e poi perché, “stramaledetto groviglio di nervi”, esige sempre di essere assecondato.
Aggrapparsi alla propria realtà fisica, registrandone le sensazioni, significa per il protagonista bambino sfidare la paura di esistere a dispetto di una madre che lo considera un tentativo fallito, “fantasma” di un padre tornato dalla guerra inesorabilmente spezzato.
Ma è a questa roccia spezzata che lui si aggrappa, e alla domestica Violette, autentica figura materna, così diversa da quell'altra che verrà ricordata solo per la sua “orgogliosa, menzognera e pontificante imbecillità”.
E poi c'è Dodo, fratellino minore che lo aiuta nei momenti più duri e che scompare magicamente con la fine dell'infanzia, senza però dimenticarsi di lui...
L'amore fisico sarà quello che lo terrà legato indissolubilmente alla donna della sua vita (“ho trovato la mia femmina”), e poco altro il lettore verrà a sapere della sua vita di coppia, o del suo lavoro di uomo d'affari.
La sua donna, gli amici d'infanzia, i figli, i nipoti, i pronipoti: affetti solidi che dovranno però fare i conti con l'ineluttabile, con la scomparsa fisica che i ricordi non bastano a compensare.
La narrazione perde mordente con l'arrivo della mezza età, diventando interessante nella misura in cui può esserlo la conversazione con una persona anziana di umore un po' malinconico: acciacchi, aneddoti già sentiti, prodezze verbali di intelligentissimi nipoti.
Altro limite del libro - limite per certi versi “fisiologico” - è il senso di fastidio che alla lunga trasmette l'attenzione meticolosa, quasi maniacale, verso tutte le variegate e non sempre gradevoli manifestazioni corporee, tanto che l'indice analitico posto alla fine, a mo' di appendice semiseria, ricorda quello di un'enciclopedia medica.
Se si aggiunge qualche pagina non molto verosimile, e che indugia un po' sul sentimentalismo, il romanzo non può certo definirsi un capolavoro, ma ha il merito di descrivere con efficacia la parabola discendente di una vita - “della” vita.
Ma che senso dare ad una realtà che ha per tutti una data di scadenza?
La risposta è forse racchiusa nelle parole di tenerezza che il protagonista rivolge alla figlia, a cui il diario è affidato: “Oh! Mia Lison! La felicità senza alcun altro motivo che la felicità di esistere”.
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Commenti
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A me Pennac piace, ma...
Aiuto!!! :o(
La storia di una vita da un punto di vista originalissimo, più che una parabola mi è parsa un'iperbole, con una forza di consapevolezza crescente da sembrare qualche volta forzata... Ed a tratti ricompare la forza dirompente del primo Pennac .
@Dreamer: sì, a volte esagera un po'. Non avevo mai letto questo autore, ma a quanto pare ha scritto di meglio.
@Marghe Cri: io ti consiglio di leggerlo, visto che conosci già Pennac magari coglierai nuove sfumature. Potresti prenderlo in biblioteca, giusto per andare sul sicuro :-)
stra consigliati !! ciao,
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