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Un insegnamento per le donne
Hosseini, nello scrivere questo romanzo, è come se avesse voluto completare “Il cacciatore di aquiloni”.
Il primo libro, infatti, assumeva un punto di vista maschile e raccontava l’essere prima bambini e poi uomini in un paese prima in pace e poi allo sbando.
“Mille splendidi soli” chiude il cerchio e completa l’incastro. Quando penso al rapporto fra questi due libri, mi vengono i ciondoli degli innamorati, suddivisi in due metà che poi vengono unite rivelando un unico gioiello.
Questo romanzo offre un insegnamento alle donne, e lo fa attraverso due protagoniste che hanno in comune solo il fatto di aver sposato il medesimo uomo. Le separa il livello socio-culturale. E le separa l’età.
Se Mariam è ancora figlia di una generazione che punta alla sottomissione della donna, Layla sta pian piano assumendo una nuova mentalità, non ancora riconosciuta a livello collettivo, ma destinata ad offrire nel corso degli anni nuove possibilità. Quella di Layla si può definire un’ “emancipazione potenziale”: esiste nella mente, cerca degli appigli, ma è ancora vittima di un sistema che ne impedisce la concretizzazione.
Esistono molti paesi in cui le donne vivono ancora in una condizione di sottomissione. Altri, ad esempio Turchia e Marocco, stanno vivendo una progressiva emancipazione. Il burqa è vietato in molti ambienti (ad esempio le moschee) e a Rabat il re sta promuovendo un disegno di legge finalizzato all’abolizione della poligamia. Tuttavia, ci sono ancora molti passi da fare.
E questi passi - mi spiace dirlo ma mi baso sulla conoscenza di molte donne musulmane che vivono nel nostro paese - non devono compierli soltanto gli uomini. Per molte giovani che decidono di sposarsi e trascorrere la vita fra le mura di una casa a crescere i figli, questo è infatti un privilegio.
Sapete quante ragazze conosco che lavorano in Italia e non vedono l’ora di poter abbandonare una necessità vissuta come punizione, e trovare il “principe azzurro sul cammello bianco” che le sposi e le mantenga?
Preparare la cena, stare in casa, avere uno che ti scarrozza avanti e indietro perché non hai la patente, è visto come un privilegio. Salvo poi trovarsi sole in ciabatte e con i bigodini in testa, a seppellire l’amore sotto il senso del dovere.
Esistono donne che, cresciute nel nostro paese, liberalmente scelgono questo stile di vita. Io stessa mi sono sentita dire “quando il tuo compagno farà carriera potrai stare in casa”. Poi hanno capito che questa frase, seppur detta in buona fede, mi offendeva. Credo che la dipendenza economica ti imponga di essere, in un certo senso, un oggetto del tuo uomo. E credo che queste donne debbano imparare, prima di tutto, a ritagliarsi un proprio spazio all’interno del matrimonio. Questo spazio deve configurarsi come libertà sia fisica che mentale, come la possibilità di dedicare amore a se stesse.
Spero che questo libro possa insegnare alle donne questo tipo di libertà, invogliarle a studiare, ad arricchire se stesse, ad essere sì brave mogli e brave mamme, ma anche e soprattutto persone autonome. Chi vive all’estero può scegliere. E questa scelta deve essere compiuta anche per rispetto nei confronti di quelle giovani che, invece, sono costrette in una sorta di schiavitù socialmente riconosciuta.
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