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L'uomo che andava al cinema
 
L'uomo che andava al cinema 2013-03-16 17:13:12 Mario Inisi
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
3.0
Piacevolezza 
 
3.0
Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    16 Marzo, 2013
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Dove la felicità costa così poco.

"Dieci anni fa perseguivo la bellezza e non pensavo al denaro. Ascoltavo le stupende melodie di Mahler e sentivo un peso al petto. Adesso perseguo il denaro e nell'insieme sto meglio."

Un uomo con problemi relazionali perché dovrebbe desiderare sposare l'unica donna con cui ha un'intesa perfetta? Perchè non cercare di rovinarsi la vita uscendo e facendo proposte di matrimonio a perfette estranee come le Sharon, Linda e Marcia che si danno il cambio nel ruolo di sue segretarie, che lo apostrofano con "Ehi cocco", parlano come le ragazze oche dei vecchi film americani e masticano gomma ?
Beh, probabilmente non avrebbe problemi relazionali se lo facesse. E come superare l'imbarazzo di una intera giornata con una di queste donne con cui non ha nulla in comune (se non una certa altalenante attrazione fisica) e con cui è così difficile trascinare una conversazione per qualche ora? Il cinema certamente aiuta in questi casi.
Naturalmente anche la donna con cui si intende perfettamente ha problemi relazionali, psicologici e di varia natura. Ma alla fine .... Per fortuna la storia a un certo punto finisce e nel migliore dei modi perché è difficile non immaginare un finale meno ottimistico di quello del libro dati gli ingredienti.

Il libro è piuttosto sincero. Le difficoltà del protagonista sono fin troppo credibili, nonostante la dichiarazione dell'autore che esse siano frutto di fantasia. Il libro ha forse il difetto di sembrare più una ricerca o la Ricerca che una storia raccontata al lettore. Si tratta di un libro di riflessione e di formazione e soprattutto di auto-terapia.
E' facile capire, dati i punti in comune, perché Percy si sia dato tanto da fare per J. K. Toole. Un altro autore con evidenti e ancor più macroscopici problemi relazionali e per di più morto suicida. Il fatto che si sia fatto intenerire dalla vicenda di Toole depone comunque a suo favore.
Per chi avesse letto Toole, bisogna però dire che questo libro è molto, molto diverso. La banda di idioti è costantemente sopra le righe, è divertente, scritto da una personalità narcisistica che sa bene come catturare l'attenzione. Questo ha un tono più riflessivo, dimesso, introverso. E' sopra le righe ma non troppo auto-ironico, quindi non è un libro da leggere per farsi quattro risate.

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