Dettagli Recensione
L'amore (?) coniugale e non
Bellissimo e sincero, al solito questo libro di Irene. Lo stile è più ricco che in Jezabel, il ballo o il vino della solitudine. La scrittura è molto meno immediata e più riflessiva. Io decisamente la preferisco. Si avvicina molto a quella di David Golder. Nella parte finale c'è un clima di malinconia, di rimpianto, di delusione e di pace raggiunta o solo sfiorata, di felicità inarrivabile. La parte finale è bellissima.
La protagonista, Marianne, la incontriamo ragazza a una festa con altri ragazzi e ognuno di loro cerca la felicità. Sente di averne diritto e in questo imperativo morale, mai posto seriamente in discussione nonostante la piega che prenderà la storia, come non riconoscere l'impronta lasciata nell'animo di Irene dalla madre? La felicità è intesa in primo luogo come piacere e la ragazza la insegue anche a scapito del rispetto di se stessa. Vive degli avanzi, degli scarti del tempo di un uomo, Antoine, che ha più storie contemporaneamente e non si sente particolarmente legato a lei. I due, forse per caso, si sposano e anche durante il matrimonio il rapporto va avanti sullo stesso binario. In nome del diritto al piacere vengono calpestati i sentimenti altrui. Il matrimonio "cresce" nel migliore dei modi, grazie anche allo spegnersi della passione oltre a una certa dose di ipocrisia che non è solo ipocrisia ma anche saggezza, intelligenza, desiderio di essere al fianco dell'altro in nome di una solidarietà matrimoniale che pare l'ingrediente principale del matrimonio. Questa parte centrale del libro lascia un po' perplessi. Vengono sollevati dei problemi morali e dimenticati sul tavolo. Non c'è soluzione, solo contraddizioni. In questa parte del romanzo si ha la sensazione che la trama si sia allentata e sia sfuggita di mano all'autrice. Ci si aspetterebbe che venga o dato il primato alla passione, alla sincerità dei sentimenti propri o al rispetto di quelli altrui. Invece no, sembra che venga invece privilegiata questa cecità volontaria che impedisce di rendere ancora più reali situazioni innominabili, che consente di preservare questo sacrario della tranquillità, mai completa e appagante.
In un certo senso in queste pagine è difficile non provare una certa delusione per la piega delle riflessioni. E' come se Dosto in Delitto e castigo arrivasse a una conclusione a metà: sì, nonostante il rimorso forse valeva la pena ammazzare la vecchia e godersi i suoi soldi.
Sembra che la scrittrice non abbia raggiunto una risposta e tutto sembra allentarsi nell'attesa di una soluzione o di una presa di posizione. Invece no. Nonostante tutto nessuno si pente più di tanto di quello che ha causato. C'è dispiacere ma mai rimorso. C'è rimpianto ma la ferma consapevolezza del proprio diritto al piacere nonostante tutto e tutti.
Ma poi superando queste pagine, la bellezza della parte finale, malinconica, intensa, sincera fa perdonare questa mancata presa di posizione sulla questione morale. Anzi, forse, essa è necessaria per arrivare a queste pagine finali in cui l'indeterminatezza dei sentimenti mai bianchi o neri ha una poesia intensa e particolare.Il libro è bellissimo, mi auguro solo che questa scrittrice così sincera non sia stata troppo autobiografica in questo romanzo.
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Commenti
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Mi pare d'intuire che sia proprio la mancata posizione sulla morale il punto di forza di questo libro...che dici ?
Pia
Il libro è bellissimo ma non mi sembra audace. E' come se Irene stavolta fosse disarmata, non avesse soluzione neppure lei e alla fine trovasse questa strana formula che legittima il tanto criticato matrimonio dei suoi genitori (in altri libri): comunque nonostante le bassezze e le ipocrisie dei coniugi il matrimonio è come un bambino che cresce da sè. Credo che una formula simile, presentata nel modo più bello, forse l'unico possibile per far digerire tanto squallore, sia superata dai nostri tempi anche se ha qualcosa di vero per cui dopo essere rimasti perplessi per pagine e pagine ci si commuove per il finale. L'audacia sta più nella sincerità straordinaria che nel contenuto. Alla fine viene legittimato il perbenismo trovandogli una funzione positiva. Ma tutto questo perbenismo è reso possibile solo dall'indifferenza tra le persone e dalla sensazione che la felicità sia un miraggio. Per cui alla fine si arriva a questa bella ma triste solidarietà tra naufraghi finiti per caso nella stessa barca traballante. Invece che scannarsi ci si fa un po' di compagnia. E alla fine della vita resta solo questo po' di compagnia. Che tristezza! Nemmeno un po' di slancio, di affetto almeno per i figli per i quali resta una forma d'invidia per una vita proiettata verso una felicità improbabile ma ancora possibile. E' come se ora Irene capisse sua madre! Preferivo per lei che continuasse a non capirla!
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