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La visitatrice 2013-02-01 10:47:01 Mario Inisi
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Mario Inisi Opinione inserita da Mario Inisi    01 Febbraio, 2013
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Mura di pietra

Esistono due mondi. Uno dentro le mura delle case. Uno nelle strade, nei bar. Ma nel secondo mondo ci si può stare solo per un certo tempo se no si finisce per dare nell'occhio e per destare sospetti. Poi bisogna tornare dentro il primo mondo.
Anastasia, 24 anni, torna alla casa paterna dopo la morte della madre. Aveva lasciato la casa anni prima per seguire la povera donna fragile e infelice. Come poteva lasciarla sola? Il padre altrettanto infelice e apparentemente meno fragile muore poco dopo. Per causa sua, le spiega la nonna paterna. Di crepacuore. Per questo il suo ritorno a casa non può essere definitivo ma solo una breve visita. Ha fatto la sua scelta a sedici anni seguendo la madre, dice la nonna. Non mostra la minima comprensione per la lacerazione che la nipote ha subito a causa della scelta. Per lei è quasi una decisione di campo, di giurisdizione.
Basta un unico ricordo a spiegare l'infanzia di Anastasia in quella casa: sola, invisibile, stritolata tra i genitori e la nonna persone incapaci di mostrare l'uno all'altro il minimo calore umano, pur volendosi bene. Persone che non hanno mai tratto il minimo piacere l'uno dalla presenza dell'altro. Le loro menti sono altre mura di pietra che impediscono ogni contatto emotivo e affettivo.
Qualunque cosa dica, lei ti vuole bene, dice ad Anastasia l'unica amica di sua nonna. Probabilmente è vero. Però in questo mondo di mura le persone e i loro sentimenti non hanno nessuna importanza. Ne hanno meno degli oggetti simbolici, (la lapide, l'anello) e del desiderio di possesso dell'uno sull'altro. In questo mondo i genitori non lasciano vivere i figli. L'amore è una questione di chi possa dirigere la vita dell'altro. Anastasia riesce a sorprendere il lettore. E' una ragazza timida, dolce, gentile ma anche ribelle e caparbia. Il gesto dell'anello e il finale sono una ribellione aperta al mondo di mura dove anche l'affetto è pietrificato in oggetti simbolici.
Anastasia, ormai respinta dalla nonna si ritrova a girare nelle vie tra la gente fingendo ( o forse no) di vedere sua madre (morta) tra la folla. Chiedendo di lei a sconosciuti. Questo girare per le strade, negli alberghi, nella chiesa (dove una donna le chiede se è ubriaca e lei risponde di sì) rimandano più all'autrice che al personaggio. Peccato che la ribellione di Anastasia sembri seguire lo stesso percorso doloroso di fuga dalla realtà di quello dell'autrice.
In tutto il racconto c'è una descrizione di luci (poche) e di ombre. Ombre di tutti i tipi. Alla fine sembra che queste ombre si addensino fin dentro le mura della mente.
Il libro è bellissimo, intenso, evocativo, perfettamente scritto. Ha la freschezza che hanno i libri nati non per mestiere ma per una necessità interiore. E dire che questa autrice l'ho letta per caso. Non l'avevo mai sentita nominare.

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Il nuotatore di Cheever
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