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numeri e nomi, due infiniti a confronto...
Premesso che "Tutti i nomi" è il secondo libro firmato José Saramago (insieme a cecità) che termino in questo mese, mi trovo a confermare, così come recentemente scritto, uno stile ed una categoria decisamente "superiori".
Ne sarò rimasto stregato, non so che dire, ma di fatto - giunto all'epilogo di questo "beve" testo (poco più di 200 pagine) - la sensazione di crescita interiore, culturale, lessicale unita alla scoperta di un nuovo - inusitato - personaggio, è stata davvero appagante.
La sensazione che provo quando leggo una nuova storia di Saramago, è quella di un tepore conosciuto, quelle pagine e quell'inchiostro caldi, accoglienti, dove si è quasi coccolati… capirete di cosa sto parlando. Ed è bello.
Si dice che la maniglia di una porta sia la mano tesa di una casa: ecco, siamo sullo stesso piano.
Apriamo il libro e siamo a casa, una nuova storia è lì ed è quasi una rincorsa per scoprire la foggia del protagonista di turno, i particolari minuziosi ed essenziali che ci implorano di non saltare nemmeno un passaggio (o sarebbe meglio dire… una virgola), la poesia, che si nasconde dietro ogni pagina per strapparci un brivido o un sorriso.
Talvolta irrefutabilmente prolisso, personalmente, non ne ho mai abbastanza.
Questa volta accompagneremo il signor José (nessun riferimento all'effettivo nome dell'autore…o forse sì ?), umbratile sofista in servizio presso la Conservatoria Generale dell'Anagrafe, nella disperata ricerca di una donna sconosciuta… almeno fisicamente.
Il destino sembra consegnarli continui indizi, riferimenti, persone, luoghi, affinché le loro strade possano intrecciarsi una sola volta; affinché possano guardarsi negli occhi correndo il rischio di non dirsi nulla. Le regole interne della Conservatoria sono ferree, fondate su integerrime e proterve gerarchie che si tramandano da decenni, ed ogni leggerezza si paga a caro prezzo.
Di rapporti interpersonali non vi è più traccia: ogni risposta, solo se strettamente necessaria è accompagnata da un serpeggiante e represso sussiego.
Al suo interno sono stipati migliaia e migliaia di certificati, di vita e di morte, e per ognuno di loro c'è una storia, un inizio e una fine troppo spesso dimenticati. Il signor José a prima vista stracco, che stenta a "sopravvivere" una querula esistenza, metterà a repentaglio la sua ineccepibile carriera, la sua integrità fisica e mentale affinché la misteriosa donna di cui solo alcuni incartamenti trafugati illegalmente gli raccontano qualcosa, non sia dimenticata.
Saramago descrive i tetri corridoi della conservatoria, che bui si dipanano tra enormi scaffali pieni di vita, polvere e morte, dove gli stessi ausiliari devono ricorrere al filo d'Arianna per essere sicuri di tornare al punto di partenza, come l'antro di una bestia che di essi si serve.
Si arriva in alcuni passaggi a sfiorare il kafkiano, con scelte geniali da parte di J.S, come l'abitazione del protagonista separata dalla Conservatoria Generale dell'Anagrafe da un'unica porta (capirete poi il perché) a cui nessuno, lui compreso, può accedere. Mi è venuto spontaneo, al termine della lettura, fare un paragone con quel capolavoro che è cecità: beh, non si raggiunge quella stessa intensità (forse inarrivabile) che a suo tempo mi tolse il fiato, ma parliamo pur sempre, di un ottimo libro.
Vi basti pensare che uno dei miei passaggi preferiti è il dialogo del Signor José con il soffitto di casa sua, orchestrato con siffatta valentia da risultare per nulla paradossale. Uno spiraglio sulla vera definizione del termine "esistenziale".
Ve lo riporto :
Adesso, sdraiato supino, con le mani incrociate dietro la testa, il Signor José guarda il soffitto e gli domanda, Che cos'altro posso fare, e il soffitto gli risponde, Niente. Allora pensi che debba desistere, Probabilmente non avrai altra via d'uscita, non vorrei essere nei tuoi panni se un giorno di questi ti colgono in flagrante, Nella mia pelle non ci potresti essere, tu sei solo un soffitto di stucco, Sì, ma anche quello che vedi di me è una pelle, e d'altro canto la pelle è tutto quanto vogliamo che gli altri vedano di noi, sotto la pelle neanche noi stessi riusciamo a sapere chi siamo. Non mi piace il tono con cui lo dici, mi suona di malaugurio, La saggezza dei soffitti è infinita, Se sei un soffitto saggio, dammi un'idea.. ci fu un attimo di silenzio poi il soffitto riprese, sai qual'è la differenza tra noi ? che tu guardi verso l'alto solo quando hai bisogno di me, solo quando hai un problema. Io, da quassù ti osservo sempre. Continua a guardarmi, a volte se ne cava qualcosa.
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Commenti
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Spero sappia conquistarti :)
"Cecità" è tutta un'altra storia.
Tra l'altro il discorso che fa riferendosi ai suicidi sarebbe da incorniciare...
Una vita inensa vissuta in un niente. Straordinario.
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