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La vita e l'esistenza
“Noi,i ragazzi dello zoo di Berlino”,simboleggia la prima ed anacronistica opera-documentario che carpisce il lettore e lo immerge nel mondo della tossicodipendenza(in particolare quella minorile) e dei suoi devastanti effetti consequenziali.
Nella Germania degli anni ‘70(così come nel resto d’Europa),parlare di eroina,di bucomani e di prostituzione finalizzata al procacciarsi la “dose giornaliera”, era quasi scandalistico ed intollerabile,siccome ogni persona teneva,nei confronti della tematica,una posizione di palese bugia mista a mera accettazione. Christiane F.,fornendoci il suo racconto-verità,ha dilatato le palpebre e le coscienze collettive di milioni d’individui, riguardo ad una delle piaghe peggiori che stava(e tuttora ha)invaso come un’ infezione pestilenziale la società Europea e mondiale.
Personalmente porrei il “Focus”del lettore non tanto sulla droga in se stessa(che rappresenta soltanto l’ultima spiaggia materiale di una situazione psicologica e vitale disgregata se non polverizzata),piuttosto sulle arzigogolate vicissitudini che hanno portato l’essere umano(il minore nel caso in questione)a farne uso. Alle spalle della tristemente celebre “polvere bianca”,si trova un universo di solitudine ed abbandono,di contesto famigliare distrutto,di depauperamento economico-lavorativo e sovente di abusi sessuali . “La dose” rappresenta,come abilmente descrive Christiane, lo strumento dell’evasione dal plumbeo e scolorito mondo che attornia il ragazzo/a,il catalizzatore dell’emozioni sulla pelle, senza il quale il soggetto non riesce più a manifestarsi,esprimersi e provare qualsiasi forma di empatia e collimazione con le altrui situazioni vitalizie.
Con l’amara spirale dell’eroina la vita evapora celermente ed il tossicodipendente si limita ad “esistere” semplicisticamente come presenza fisica in una realtà troppo stretta,soffocante,, che non gli si addice più, che gli scivola via come un turbine di foglie autunnali .Paradossalmente l’unica via per riprendere a “ vivere a colori”(nell’opinione del drogato) è farsi una dose:il cielo si ricolora di azzurro e di blu, le strade riassumono i tratti tradizionali ed il vento ricomincia a punzecchiargli finemente le guance,tuttavia è solo questione d’attimi effimeri prima che ritorni la nera oscurità dell’oblio.
Christiane,come del resto tutti i bucomani suoi coetanei, è denudata di fronte ai suoi ormai patologici “bisogni”,tant’è vero che nella sezione conclusiva dell’opera smette persino di mentirsi,come pedissequamente faceva ogni singolo giorno,sulle atrocità ed umiliazioni che la droga l’aveva costretta a compiere: si trovava in una situazione di completa e totale accettazione;gradino antecedente l’arresa.
Nonostante ciò, il “romanzo”(se così mi permettete di chiamarlo),si conclude positivamente, dimostrando in modo lapalissiano come sia facile cadere nella suadente spirale della droga,ma anche come sia possibile uscirne grazie alla propria e all’altrui forza di volontà, e come l’eroinomane possa reinserirsi nella società ed in una condizione esistenziale che potremmo definire tranquillamente VITA.
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