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L'ultima brava ragazza americana
Partita con la curiosità di leggere quella che doveva essere una lucida e spietata analisi dell’ambiente universitario americano, fatta da un grande “vecchio” come Tom Wolfe (ben oltre la boa dei settanta anni), sono rimasta sinceramente perplessa, e mi chiedo se sono solo io ad aver avuto la sensazione di rivedere semplicemente uno dei tanti film che il cinema ci ha propinato negli ultimi decenni (stile American Pie, o dintorni).
Charlotte, l’autentica brava ragazza americana, di origini modeste, secchiona, e pure vergine (ma già questa idealizzazione di partenza induce a sospettare che per Wolfe le brave ragazze americane proprio non esistono), parte dal natio paesello di provincia per andare a studiare in una delle migliori università (nella finzione, la Dupont University), carica di mille ambizioni e aspettative, e scopre che, orrore!, l’ambiente universitario non è poi così idilliaco. Anzi.
Ma ci voleva questo romanzo per apprendere che, anche nelle migliori università USA, gli atleti delle squadre sportive hanno a disposizione corsi per cosiddetti semianalfabeti, che permettono loro di laurearsi tranquillamente, concentrandosi solo sull’attività agonistica; che le confraternite studentesche sono in realtà centri in cui si allacciano le cerchie di amicizia e di interesse tra i potenti delle generazioni di domani; che i dormitori universitari sono spesso teatro di festini promiscui, di scherzi sadici, e che i verdi campus sono anche luoghi di confusione, sporcizia e violenza, dove chi vuol davvero studiare fatica a trovare la concentrazione; e che chi si rintana nel silenzio delle biblioteche, e non si atteggia a gallina cheerleader, proprio come Charlotte, finisce per essere emarginata, boicottata, ferita?
In realtà, come ho premesso, io non sono riuscita a cogliere questa acuta analisi sociologica, né ho trovato gran novità nella narrazione della caduta e della iniziazione-trasformazione di Charlotte (trasformazione, peraltro, talmente enigmatica e buonista, che non saprei se definirla con certezza una vittoria della protagonista. Protagonista per cui, a dirla tutta, non ho provato grande simpatia).
Ecco, di questo libro corposo (quasi 780 pagine), mi rimarrà piuttosto il ricordo delle parolacce, un fiume continuo di volgarità, che nelle intenzioni del vecchio scrittore dovevano forse rendere l’ambiente giovanilistico, ma che alla fine hanno appesantito inutilmente la (mia) lettura. In ogni caso, anche le parolacce non mi paiono un gran elemento di novità: quasi tutti i film ambientati nei campus americani ne sono pieni.
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ahahahahah !!!
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