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Il senso di una fine
 
Il senso di una fine 2012-10-01 13:30:25 giuse 1754
Voto medio 
 
3.8
Stile 
 
5.0
Contenuto 
 
4.0
Piacevolezza 
 
3.0
giuse 1754 Opinione inserita da giuse 1754    01 Ottobre, 2012
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Il senso di una fine è sempre opinabile

Le aspettative troppo alte portano inevitabilmente a una delusione.
Questa riflessione non è pertinente rispetto al contenuto del libro, ma è ciò che ho pensato dopo averlo letto, visto che mi era stato entusiasticamente consigliato da un’amica, grande lettrice.
E' effettivamente un buon libro (vincitore del Man Booker Prize 2011), ma a mio parere gli manca quella stelletta in più per essere un capolavoro.
Il romanzo di Barnes si snoda intorno a due grandi questioni:
1) “Il ricordo è ciò che pensavamo di aver dimenticato. Inoltre dovrebbe apparirci ovvio come il tempo non agisca affatto da fissativo, quanto piuttosto da solvente”. Verissimo, e l’ho verificato spesso di persona.
2) Spesso le persone e la realtà non sono come noi le vediamo, ma pur avendo una loro oggettività questa il più delle volte ci sfugge. (Questo concetto non mi è nuovo, vedi Pirandello)
Il romanzo è scritto bene ma un tantino noioso, “filosoficamente tautologico”, come ripete una ventina di volte l’autore per spiegare bene i suoi concetti di fondo. La trama è quasi inesistente, e dove la vicenda vorrebbe riservarci un colpo di scena, questo è abbastanza inverosimile.
Mi fa sorridere e ho amato con tenerezza Tony, il protagonista sessantenne che è costretto a rivedere il se stesso di quarant’anni prima alla luce di una sua lettera, dalla quale probabilmente sono scaturiti tutti gli avvenimenti futuri degli altri protagonisti.
Tony, invece, si è lasciato scorrere addosso la vita così come gli è capitata, ma tutto sommato gli sta bene proprio così: marito divorziato da una moglie-amica, padre di una brava figliola, rassegnato a vivere come se fosse nell’anticamera della morte senza farsene un dramma.
D’altronde, gli è andata decisamente meglio che al vecchio Adrian, sulla cui fine Tony si interroga.
Suicida non per ineccepibile conclusione di un ragionamento filosofico sull’esistenza, è solo probabilmente fuggito dalle responsabilità della vita reale.
Anche all’ex fidanzata Veronica, a cui si rivolgerà per avere il diario di Adrian che gli spetta per volontà testamentaria della madre di lei, non è poi andata così bene.
L’autore si vendica appioppandole antiestetici baffetti senili e peli che spuntano dai nei e ce la descrive supponente e stronzetta.
Tutto sommato, e credo anche all’insaputa dell’autore, mi pare che non esca così sconfitto dalla vita quest’uomo senza grandi facoltà intellettive, forse solo dispiaciuto per non aver afferrato il senso delle cose successe tanti anni prima.

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