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Il vuoto aspirante della mia anima
“Ero un mostro pentapodo, ma ti amavo.”
Amore?
No, questa non è una storia d’amore.
Lolita è la storia di una passione, di un’ossessione, di una vita bambina calpestata dall’egoismo, dalla brutalità, dalla fragilità vergognosa degli adulti.
Lolita è una storia inquietante, per i contrasti presenti in tutti i personaggi principali. Non ci sono buoni tra loro. Nemmeno la vittima, nascosta dietro la sua corazza di sfacciataggine, attira facilmente la simpatia e l’identificazione del lettore. Ma non ci sono nemmeno mostri assoluti e spaventosi, come quelli che costellano la narrativa noir dei giorni nostri.
I mostriciattoli che circondano Lolita spaventano proprio perché sembrano troppo umani.
Al primo posto c’è la madre, donna dai “solidi principi”. La “curata” e severa Charlotte esercita il suo dovere di madre, anche se vuole allontanare la sua creatura “bruttina” e “dispettosa”. La sua vera natura viene alla luce quando scopre il gioco del pedofilo che ha appena sposato:“... non rivedrai mai più, mai più quella miserabile mocciosa” urla prima di morire in uno stupido incidente.
Poi c’è la voce narrante, il pedofilo in persona. Monsieur Humbert Humbert è un miserabile senza dignità, ma anche un uomo colto e forbito, con un forte senso estetico. È consapevole della sua natura e dei suoi crimini, ma non si dimostra completamente cinico.
“E c’erano momenti in cui sapevo come ti sentivi, e saperlo era l’inferno, piccola mia.”
Lo stile sublime, impeccabile dell’autore fa risaltare in modo estremo il contrasto tra forma e contenuto, tra senso di colpa e crudeltà, tra bellezza e sudiciume.
“...notavo spesso che, vivendo come vivevamo, lei e io, in un mondo di male assoluto, ci coglieva uno strano imbarazzo quando io cercavo di affrontare un argomento di cui avrebbero potuto parlare lei e un’amica più grande, lei e un genitore, lei e un innamorato vero e sano...”
H. sa di non essere sano. Sa anche di essere marcio. E non si illude nemmeno di essere un uomo adulto. Esprime alla perfezione la consapevolezza quando incontra Lolita per la prima volta.
“... mentre le passavo accanto vestito da adulto (un grande, possente, splendido esemplare di virilità hollywoodiana), il vuoto aspirante della mia anima riuscì a risucchiare tutti i dettagli della sua radiosa bellezza, che paragonai a quelli corrispondenti della mia promessa sposa defunta.”
Nascosto dietro i vestiti e le parole eleganti c’è un bambino immaturo ed egoista, un piccolo bruto consapevole della sua pochezza, pronto a qualsiasi orrore pur di nutrire il vuoto che lo tormenta. H. è la brutta copia del bambino innamorato che era stato. Non è un uomo in grado di amare, quello che passa accanto a Lolita. L’innamoramento, quello sì, lo possono provare anche le creature più vuote. La passione di H. è simile a quella di chi ama soltanto la bellezza esteriore, e niente altro: gli altri sono sempre oggetti, mezzi per raggiungere un fine egoistico, involucri vuoti da adorare o da distruggere.
“Lolita” è uno di quei capolavori che ha provocato, e provoca ancora, reazioni molto negative. Non mi stupisce che si possa odiare questo libro. Ma il vuoto non esiste soltanto nei libri o nei film dell’orrore. I mostri di Lolita li abbiamo già incontrati, anche se forse non li abbiamo riconosciuti.
Il vuoto è intorno a noi, e Nabokov ha trovato le parole per raccontarlo.
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Commenti
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Non e' il mio genere. Forse per questo l'ho odiato cosi'...
ahahahaha sto interrogando me stessa :D
Ho riflettuto sulla tua riflessione. Sì, penso che la tua analisi sia esatta: sentirsi traditi è un buon motivo per odiare un libro.
Del resto, c'è sempre un buon motivo per odiare un libro. Anche e soprattutto un capolavoro. L'elemento soggettivo è sempre fondamentale. Per fortuna o purtroppo:-)
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Io l'ho odiato profondamente, tu lo hai amato.
Ma le ragioni di entrambe sono simili.
Fenomeno interessante. ;-)