Dettagli Recensione
Fuga da una società profondamente malata
La scrittura di Lionel Shriver è ontologica, punta a spiegare il significato più basilare delle cose riportandole a livello di una visione globale della vita, della società, dell’uomo. Dal romanzo emerge una concezione molto critica della società occidentale, condannata praticamente da tutti i personaggi (e quindi dall’autrice) per il suo consumismo, le sue contraddizioni, i suoi egoismi, per la non curanza della dignità delle persone (in particolare è preso di mira il sistema sanitario statunitense pre-Obama, signoreggiato dalle assicurazioni private). Proprio come reazione da questo contesto nasce il sogno di Shep: una fuga verso mondi primitivi, dove ritrovare il valore delle cose essenziali. Anche questo sogno in realtà è espressione all’inizio del romanzo di un profondo egoismo, ma le vicende che ne ostacolano la realizzazione permettono al protagonista un ripensamento di se stesso, lo aprono verso gli altri, cosicché l’attuazione del suo progetto si realizzerà – altruisticamente – in compagnia di tutti gli sfortunati della vicenda. Molto intensa e purtroppo assolutamente veritiera l’analisi delle relazioni umane nell’ambito della famiglia, della cerchia degli amici, del vicinato, dell’ambiente di lavoro. Mi ha colpito particolarmente la personalità di Jackson, l’amico del protagonista, cinico censore della società americana, e per questo principale sostenitore del sogno di fuga dell’amico Shep, ma vittima egli stesso dei modelli di quel mondo (tanto da sottoporsi ad un intervento di chirurgia plastica assolutamente inutile e dalle conseguenze disastrose). La Shriver è molto verbosa ed è inevitabile che su 550 pagine alcune risultino noiose e meno interessanti. Comunque la storia è emozionante e arricchisce.