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Un libro universale
“Lei crede sul serio che i compatrioti di Goethe e di Schiller, di Kant e di Beethoven si lasceranno abbindolare da queste sciocchezze?” (pag. 48). In questa domanda, che il padre del giovane Hans rivolge a un nazista, è racchiuso tutto l’amore per la propria terra. “L’amico ritrovato” è uno di quei libri che si leggono tutto d’un fiato, e non solo per il limitato numero di pagine, soprattutto per la passionalità che l’autore mette nella vicenda, ispirata a un fatto autobiografico. Si narra dell’amicizia giovanile tra Hans, figlio d’un medico ebreo, e Konradin, l’ultimo rampollo della casata dei conti von Hohenfels, nata sui banchi di un esclusivo liceo di Stoccarda all’epoca dell’ascesa di Hitler al potere. Ma le vicende politiche e lo spettro dell’olocausto imminente rimangono sullo sfondo, laddove il centro pulsante della narrazione è nell’entusiasmo dei due giovani chiamati a uscire dalla timidezza e ad affacciarsi alla vita, nelle discussioni vibranti sulla poesia, sull’esistenza di Dio, sulla natura stessa dell’amicizia. “Non ricordo esattamente quando decisi che Konradin avrebbe dovuto diventare mio amico, ma non ebbi dubbi sul fatto che, prima o poi, lo sarebbe diventato(…) Nella mia classe non c’era nessuno che potesse rispondere all’idea romantica che avevo dell’amicizia (…) nessuno per cui avrei dato volentieri la vita” (pag. 21). E ancora: “Dall’esterno del nostro cerchio magico provenivano voci di sovvertimenti politici, ma l’occhio del tifone era lontano (…) Stoccarda continuava ad essere la città tranquilla e ragionevole di sempre” (pag. 34). Saranno gli adulti, con le loro decisioni, a ritagliare i confini di questo mondo, così che la realtà v’irrompa drammaticamente: Hans sarà mandato in America a continuare gli studi, mentre i suoi genitori rimangono a Stoccarda, rifiutandosi di lasciare quello che continuano a considerare (e che è) il loro paese; Konradin abbraccerà la fede nazista, trascinato dall’entusiasmo di sua madre. Una fede che appare addirittura ingenua, laddove scriverà all’amico: “Mi rallegro che i tuoi genitori abbiano deciso di restare. Nessuno li molesterà, naturalmente, ed essi potranno vivere e morire qui, in pace e serenità” (pag. 85). Fino a una conclusione inaspettata. Dunque, un libro sugli slanci e le innocenze dei giovani. Tutti. In contrapposizione con la durezza e l’ipocrisia degli adulti. Tutti. Un libro sui bisogni essenziali dell’animo umano, descritto in ciascuno dei personaggi con uno stile limpido e vivace, un tocco quasi pittorico (e in effetti l’autore è stato anche artista visivo), un amore trasparente e viscerale per un mondo romantico destinato a scomparire, ma che ancora non ne è consapevole. Un libro che, proprio a causa di quell’amore, offre al lettore semplicemente una storia (forse “la” storia per eccellenza), senza pregiudizi né pretese moralistiche, così che possa autonomamente cercare gl’infiniti spunti di riflessione, identificarsi con Hans e, con lui, non riuscire a staccarsi dall’indimenticabile Konradin. Un libro a suo modo universale, nonostante l’argomento trattato, l’evoluzione storica degli eventi mondiali e la vicenda stessa dell’autore ne portassero il rischio.