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Cavalli selvaggi
 
Cavalli selvaggi 2012-08-05 18:10:16 enricocaramuscio
Voto medio 
 
3.0
Stile 
 
3.0
Contenuto 
 
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Piacevolezza 
 
3.0
enricocaramuscio Opinione inserita da enricocaramuscio    05 Agosto, 2012
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Western dolce-amaro

Il mito della frontiera americana, gli spazi sconfinati del Messico, la passione per la natura e per gli animali, il bisogno di cercare se stessi e di trovare un posto in cui vivere che si possa sentire come proprio. Tutto questo Cormac McCarthy ce lo racconta attraverso le vicende del sedicenne John Grady Cole che, fatta terra bruciata attorno a sé, parte a cavallo del suo Rebdo verso il Messico accompagnato dal cugino e fraterno amico Lacey Rawlins. Una sorta di anacronistico rifiuto nei confronti di un progresso che imperversa inesorabile negli Stati Uniti del dopoguerra, che porta i due ragazzi a sconfinare in una terra legata ancora alle vecchie tradizioni e a cercarsi un lavoro che li tenga a contatto con la natura e con il bestiame. Per loro comincia così una vita randagia fatta di cavalcate, cene attorno al fuoco, notti sotto le stelle, mandrie selvagge e ululati di coyotes. Giunti nello stato di Coahulia vengono assunti alla Purìsima, un ranch in cui oltre al lavoro troveranno la tranquillità, l’amicizia e perfino l’amore. Ma come spesso accade nella vita i bei momenti durano poco e le speranze e le illusioni si trovano a cozzare con la dura realtà di un mondo cattivo e cinico. Così per i nostri eroi i guai non tarderanno ad arrivare, costringendoli brutalmente a rivedere i progetti e tornare sui propri passi. Un western dai due volti quindi, dolce nella prima parte dove nascono, si alimentano e si concretizzano i sogni dei protagonisti, amaro nella seconda dove domina una concezione negativa della condizione umana legata all’impossibilità secondo McCarthy di combattere contro il proprio destino. Lo stile narrativo è semplice e asciutto e sale un po’ di livello durante le affascinanti descrizioni dei paesaggi e dei luoghi, mentre lascia un po’ a desiderare l’analisi introspettiva dei personaggi, affidata quasi esclusivamente a dialoghi frequenti ma molto scarni. Da rilevare in positivo la piccola parentesi dedicata al racconto dei giorni della rivoluzione messicana, mentre in negativo appare lampante l’esagerazione nell’attribuire al protagonista John Grady una serie infinita di doti morali positive, di qualità fuori dal comune e di capacità di cavarsela in situazioni disperate che sono davvero troppe per un ragazzino di sedici anni alla sua prima esperienza lontano da casa in mezzo a uomini crudeli e senza troppi scrupoli.

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Commenti

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IO ho Suttre dello steso autore, ma per me le descrizioni sono insormontabile, quando ho letto "come pietre miliari nelle forre inaccessibili della dementia praecox" ho desistito, forse non era il momento, forse non ero pronto per capire, sarebbe ora che ci riprovi, speriamo bene questa volta!
Lo sto leggendo anche io in questi giorni e trovo rispecchiata la mia prima impressione in questa tua recensione. Un romanzo di formazione che a me non fa impazzire e nemmeno lo stile non mi entusiasma seppur contenente delle belle descrizioni molto vive nello stesso tempo risulta essere scarno, freddo, con dialoghi secchi quasi banali e la prosa nel suo insieme mi risulta sconnessa e poco armoniosa. Inoltre odio le ripetizioni del tipo "lui ha detto, lui ha risposto, lui ha chiesto". ps: il mio primo Cormac.
Anche per me fu il primo Cormac. Poi ho letto "La strada" ed è andata decisamente meglio. Anche perché lo stile si adatta meglio all'atmosfera.
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